Un luogo dove togliere la giacca

Che suggestioni lascia la Giornata mondiale dei poveri, voluta da Papa Francesco, significativamente, domenica 19 novembre, festa di Cristo Re, in chi tutti i giorni è a contatto con il disagio, la fragilità, la povertà degli ultimi tra gli ultimi, dei fragili tra i fragili: i senza dimora? L’invito – o la provocazione? – a guardare i poveri negli occhi al Punto d’incontro in via Travai a Trento viene raccolto ogni giorno, tutti i giorni, settimana dopo settimana. E anche domenica scorsa la cooperativa, fondata da don Dante Clauser, ha aperto la mensa, per distribuire pasti caldi. “Noi abbiamo vissuto questa Giornata come un’occasione di riflessione, di confronto al nostro interno, ma anche come un’opportunità per un dialogo collettivo”, dice la presidente della cooperativa, Graziella Masserdoni.

Oggi, ragiona, la povertà assume forme molto diverse dal passato, quando era situazione diffusa, condivisa da molti, ma vissuta con dignità. “La nostra società – osserva – ha alzato molto la soglia di quello che la persona deve dare e ciò genera disagio, esclude chi non ce la fa… quelle che arrivano da noi: i più poveri dei poveri, i disperati, gli ultimi, talvolta sporchi e incattiviti dalla vita di strada, con grandi sofferenze alle spalle e poche prospettive di futuro”. Attenzione, perché non si può dire: tanto non mi riguarda. Una separazione, un divorzio spesso bastano a far precipitare in un vortice che trascina sempre più in basso. La conclusione? Masserdoni s’infervora, ribolle: “Si parla sempre di emergenza. Ma come si può parlare di ‘emergenza freddo’, quando siamo di fronte a fenomeni stagionali… Che con l’approssimarsi dell’inverno le temperature si abbassino non è certo una novità!”. Dire emergenza, aggiunge, fa pensare a qualcosa di transitorio, ma è fuorviante, perché siamo piuttosto di fronte a situazioni alle quali è illusorio pensare di offrire soluzioni rapide e che esigono invece una risposta strutturale. La verità, arrotonda il concetto, è che occorre pensare e agire con una progettualità, con atteggiamento propositivo e puntando a prevenire i fenomeni, per governarli, piuttosto che, dopo, puntellare le situazioni qua e là.

Qualche idea al Punto d’incontro ce l’hanno e a suggerirla è l’osservazione della realtà quotidiana, abitata da persone che sono tra le più fragili pure tra gli ultimi e i dimenticati. Non c’è solo la necessità di un pasto caldo, per chi vive in strada, o di farsi una doccia (servizi che in via Travai sono assicurati, oltre che da operatori preparati, anche dal generoso volontariato). “Non basta l’aiuto, dobbiamo essere capaci di costruire una relazione di aiuto”, osserva Masserdoni, rendendo esplicita la costruttiva proposta della cooperativa per rispondere a un bisogno delle persone senza dimora che resta ancora insoddisfatto, nonostante una pluralità di offerte presenti sul territorio: “Stiamo pensando a un dormitorio, piccolo, gestibile, complementare ai servizi che già garantiamo”. Un riparo da offrire a quelle persone “a bassissima soglia” che mal tollerano perfino le elementari regole di convivenza delle strutture che ci sono in città. Il pensiero va alle polemiche di questi giorni per la rimozione di tre panchine in via Travai, dove stazionavano alcune persone senza dimora. “Persone insofferenti alle regole, che non hanno accettato altre soluzioni”, tronca Masserdoni: “La panchina è un sintomo, è spia di un disagio. Noi, ripeto, dobbiamo continuamente metterci in gioco per costruire relazioni”. L’idea del dormitorio, che sta impegnando il Punto d’incontro a 360 gradi su più tavoli, va in questa direzione, mira ad ampliare l’accoglienza diurna offrendo un luogo dove instaurare un dialogo e allacciare relazioni. “Venga al Punto d’incontro, osserverà una cosa curiosa: le persone che accogliamo non si levano mai la giacca! Dice la precarietà, l’insicurezza di queste persone. Ecco, il sogno che coltivo, che insieme stiamo cercando di rendere realtà, è offrire loro un luogo dover poter finalmente togliersi la giacca! Un luogo che anche chi è nel disagio più profondo possa chiamare ‘dimora’. Sentendosi a casa”.

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