“Così ci prendiamo cura della salute materno-infantile”

I programmi del Cuamm per contrastare la mortalità materna e tra i bambini al di sotto dei 5 anni

Un giovane medico nel distretto di Oyam, nord Uganda, zona rurale a ridosso del grande Nilo. E’ il dottor Giovanni Moser che ha lavorato in Africa per conto del Cuamm – Medici con l’Africa, che manda da tanti anni medici e personale infermieristico in tutto il continente nero. Giovanni ha svolto un compito prevalentemente organizzativo e non clinico. “In ospedale seguivo un protocollo di igiene ospedaliera – spiega – e ho impostato un lavoro di miglioramento della qualità del servizio offerto cominciando dalla sicurezza del paziente”. L’ambito è quello centrato sulla salute materno-infantile con l’accessibilità al parto assistito da professionisti qualificati e non da ostetriche tradizionali, cosa che capita ancora in circa il 30% dei casi. Il tasso di fertilità delle donne ugandesi è tra i più alti al mondo con quasi sei bambini per donna.

In un contesto prevalentemente di povertà la mortalità materna è assai alta (quasi cento volte quella italiana), così pure la mortalità tra i bambini al di sotto dei 5 anni.

“Il Cuamm – dice il dottor Moser – ha deciso di intervenire proprio in questa zona specifica promuovendo il parto assistito con voucher e servizi di trasferimento con ambulanze in ospedale nel caso di complicanze”. “Per capire i volumi – prosegue – questi centri, in alcuni casi gestiti solo da un’ostetrica e un infermiere, assistono tre quarti dei parti totali (circa 15 mila all’anno su una popolazione di circa 400 mila abitanti)”.

Per il giovane dottore si usano in modo ottimale le poche risorse disponibili aiutando ad assicurare al meglio possibile il rispetto degli standard sia strutturali che di servizio per un effettivo diritto alla salute. Moser ha viaggiato parecchio nel distretto di sua competenza. Ha scoperto, ad esempio, che esiste “una fiorente realtà di gruppi di risparmio che cercano di mettere assieme le forze per uscire dalla povertà”. Anche nell’impostare il suo lavoro, il medico trentino ha cercato di educare all’autonomia le comunità interessate in modo che possano continuare il progetto complessivo anche una volta che lui è rientrato in Italia. Ascoltare, osservare. Dialogo continuo con i colleghi ugandesi. Sono state queste le chiavi di volta per coniugare le conoscenze della medicina “occidentale” con la conoscenza del contesto locale. “Tantissima pazienza, ma è stata la parte più interessante e più bella del mio lavoro!”, riconosce. E poi la pazienza nei lavori in cui si esige dialogo serve sempre e dappertutto, conclude. Ora la specializzazione a Bologna che termina a fine 2018. Poi si vedrà, ma l’Africa, per Giovanni Moser, rimane nel cuore.

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Parole chiave

DIVERSITÀ. “Per quanto riguarda la vita quotidiana l’essere bianco in mezzo ai congolesi è certamente un’esperienza interessante. In tutto il distretto, una zona abbastanza ampia, gli unici bianchi eravamo io e la mia tutor. Sei al centro dell’attenzione di tutti, i bambini ti corrono incontro con i loro bellissimi sorrisi. E’ sorprendente questa sensazione che sei tu il ‘diverso’…”.

MOVIMENTO. “La gente in Uganda è sempre in movimento; si spostano a piedi, in bici. Poche macchine, molti pulmini e camion stracarichi di persone, merci e animali. Purtroppo succedono incidenti che sono stragi… Le strade ugandesi – in terra rossa, bellissime a vedersi – sono l’emblema di una realtà vivacissima, con moltissimi bambini che sono ovunque: infatti la metà della popolazione è costituita da ragazzi e ragazze al di sotto dei 15 anni!”.

ASCOLTO. “Una cosa che ho capito è questa: parlare di Africa appiattisce una realtà vivace ed eterogenea. In Uganda un ugandese del nord per parlare con uno del sud deve passare per l’inglese. Per dire che dopo sei mesi di esperienza sul campo una cosa che ho capito è che ci vuole un grande ascolto reciproco”.

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