Che storia il quotidiano!

1Sam3,3b-10.19;

Sal39(40);

1Cor 6,13c-15a.17-20;

Gv1,35-42]

Epifania, Battesimo e …. Ordinarietà. Siamo di fronte a tre solennità? In verità, accanto alle prime due solennità liturgiche, appena vissute, la tradizione liturgica cristiana poneva il primo prodigio compiuto da Gesù durante un banchetto di nozze a Cana di Galilea quando Gesù si presentò come sposo desideroso di dare il vino abbondante e gustoso della vita piena e bella del Vangelo. Proprio sollecitati da questa ultima epifania, che sgorga da una festa nuziale e dalla vita familiare, abbiamo osato accostare alle prime due manifestazioni tradizionali una terza rivelazione a noi così vicina e così cara: la nostra vita. Sì, la vita di ciascuno di noi come espressione della presenza del «Dio con noi»! Quell’ordinarietà fatta di lavoro, di responsabilità, di incontri, di riposo, di festa, di preoccupazioni e di gioie. Non è forse proprio questo tempo feriale lo spazio capace di manifestare il mistero di Cristo nella nostra vita? Non è forse questo il tempo per eccellenza della sequela e del discepolato sulle orme di Gesù?

Questa Domenica che ci introduce al tempo ordinario ci dona innanzi tutto la possibilità preziosa di interrogarci su come viviamo i giorni che ci sono donati ed in che modo di domenica in domenica, seguendo il nostro Signore, noi impariamo a fare nostre le sue parole e i suoi gesti. Questo tempo, cosiddetto ordinario, che alle volte diventa sinonimo di tempo minore o poco significativo, è invece lo spazio unico dove si gioca in qualche modo la verità degli altri tempi: la gioia del Natale ci sostiene davvero? L’Emmanuele illumina le nostre scelte di ogni giorno? Colui che si è fatto solidale coi peccatori ci insegna a stare con gli altri? L’Eucaristia festiva trasfigura i nostri giorni feriali? Ascoltiamo.

La prima lettura è una pagina molto nota. Il protagonista è un giovane ragazzo di nome Samuele, figlio desiderato, atteso e offerto al Signore «per tutti i giorni della sua vita.» In un tempo non certo favorevole dove «la parola del Signore era rara […

e le visioni non erano frequenti» il Signore irrompe in quella giovane vita. Proprio quando Samuele sta dormendo, ossia quando la sua coscienza è inattiva, Dio si fa sentire, lo scuote e lo fa uscire da sé stesso. Per ben tre volte il Signore interviene quasi a dire che bisogna imparare a riconoscere la voce del Signore, e quindi alzarsi, camminare, chiedere aiuto, ascoltare ed eseguire. In quella triplice ripetizione degli stessi movimenti e delle medesime parole Samuele mostra la sua freschezza, apertura e fiducia del cuore. Non aspetta, rischia. Non sta fermo, avanza. È esigente la voce del Signore. Scomoda Samuele e scomoda Eli i cui «occhi cominciavano ad indebolirsi e non riusciva più a vedere». Il giovane ed il vecchio collaborano con Dio perché Dio guarda il pulsare del cuore e non l’età. Come guizzo di vita nuova la voce del Signore spalanca orizzonti che susciteranno cambiamento, conversione di vita e sentieri di liberazione.

Samuele si lascia mettere in gioco. Così Eli. Da una voce ad uno sguardo. Il Vangelo è racchiuso da due sguardi: quello di Giovanni Battista e quello di Gesù. In quello spazio si tessono le trasformazioni di vita! Il Vangelo di questa Domenica ci cattura con la sua ricchezza di suggestioni. Si canta non solo una Parola di Dio che si è fatta carne, ma anche «relazione» ed «incontro». Vi è una lieta notizia che ci sorprende: i nostri incontri diventano luogo in cui possiamo incontrare e conoscere il mistero di Dio ed il Signore ha bisogno delle nostre vite per manifestare la sua bellezza ed offrire la sua salvezza. Non dobbiamo andare a cercare altrove il mistero di Dio che si rivela, ma dobbiamo cercarlo e trovarlo dentro in tutto ciò viviamo, nel bene e nel male, anche in tutte le nostre relazioni e i nostri incontri.

È la seconda volta che Gesù viene proclamato da Giovanni Battista «l’agnello di Dio», ma ora ciò avviene in una proclamazione pubblica: Giovanni lo dice anche ai suoi discepoli e due di loro scelgono di seguire Gesù. Sono i primi due suoi discepoli. Iniziano a seguire Gesù, perché hanno sentito la testimonianza del Battista, non perché sono stati chiamati da Gesù ed anzi, Gesù sembra quasi dissuaderli dalla sequela. La prima cosa che Gesù fa è voltarsi e «vedendo che lo seguivano, disse: «Che cosa cercate?». È come se Gesù dicesse: «Ma che cosa volete? Che cosa state cercando?» ed in tal modo interroga la loro ricerca. Li mette alla prova. Non basta cercare, occorre riflettere e domandarsi: forse che non bisogna cercare qualcosa, ma bisogna cercare qualcuno? Forse che cercare il senso della nostra vita significa cercare qualcuno da incontrare? Alla fine del Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,15) avremo la stessa domanda che Gesù rivolgerà a Maria di Magdala il giorno della sua risurrezione. Gesù le appare, ma lei non lo riconosce. Vedendola piangere le chiede: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». In quell’istante il suo cuore si spalanca ed il suo desiderio di vita trovare risposta in un volto cercato e trovato. I due discepoli, invece, risposero a Gesù ponendogli un’altra domanda: «Rabbì (che significa maestro), dove abiti (rimani)?». Qui c’è il verbo «rimanere» che, nel Vangelo secondo Giovanni, è fondamentale. Si tratta di entrare in una relazione intima con Gesù, in una condivisione di pensiero, di progetti e di sogni. Si intravvede che è questione di vita, di relazione profonda, di continui incominciamenti e di ripetute riprese. È la vita del cristiano che è chiamata continuamente a fare spazio solo a Gesù «Via, Verità e Vita» e a fare esperienza concreta di lui. «Venite e vedrete» rilancia Gesù invitando i suoi due primi discepoli a entrare in una relazione diretta con lui mettendosi in gioco con coraggio e con passione. E noi ci lasciamo nuovamente sedurre da Gesù?

a cura della Comunità monastica di Pian del Levro

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina