Per un pugno di nomi

La composizione delle liste, da sempre croce e delizia di ogni formazione politica

I partiti sono alle prese con la composizione delle liste, da sempre croce e delizia di ogni formazione politica. Solo che questa volta c’è un problema in più. Col bizzarro sistema di unione di collegi uninominale e proporzionali per cui però non è consentito il voto disgiunto, non si devono più semplicemente piazzare gli uomini e le donne del proprio partito, ma anche negoziare il loro piazzamento coi nomi che propongono gli alleati.

E’ un rebus maggiore di quel che si pensa e cerchiamo di spiegare ai lettori il perché. Nei collegi uninominali, dove vince chi prende anche solo un voto più degli altri concorrenti, già non è semplice capire quale sia il nome migliore per attrarre un consenso ampio. Lo abbiamo già spiegato in precedenti articoli: se, poniamo a Bologna, candido come sembra Casini contro fra gli altri l’ex PD Bersani oggi in Liberi e Uguali possiamo stare tranquilli che gli elettori di sinistra voteranno tranquillamente uno che è stato a suo tempo oltre che democristiano un pezzo importante del berlusconismo? Il ragionamento per cui se non si vota Casini non si può neppure votare la lista dei candidati PD nel proporzionale (essendo il voto congiunto) regge fino ad un certo punto, perché l’attenzione dell’elettore medio si concentrerà sulla scelta più “personalizzata”.

L’esempio può essere replicato per moltissimi altri collegi uninominali e non riguarda solo il centrosinistra, ma anche il centrodestra. Non ovviamente i Cinque Stelle e Liberi e Uguali che non essendo coalizzati con nessuno non hanno questo problema. Tuttavia anche loro devono provare a vincere in almeno qualche collegio uninominale, altrimenti escono dalle elezioni azzoppati in termini di prestigio (che qualcosa conta ancora).

Ma i problemi non finiscono qui. Praticamente tutti quelli che saranno candidati nei collegi uninominali vorranno anche essere messi in cima ai listini proporzionali, dove il voto è più sicuro. Anche qui però con qualche problema. Questo funziona bene per i grandi partiti: il signor X viene candidato in un collegio uninominale  dove potrebbe perdere, ma verrà salvato dal sicuro successo del primo della lista nel proporzionale (se poi vince nell’uninominale rinuncerà a favore del secondo in lista). Se però il signor X è di un partito piccolo questa certezza di essere ripescato se gli andasse male nell’uninominale diventa teorica, perché nessuno sa se le formazioni più piccole supereranno la fatidica soglia del 3% che da diritto alla rappresentanza. Ma siccome quella lista se sta sotto la soglia del 3, ma arriva almeno all’1% dei voti (cosa abbastanza probabile per queste formazioni) porta voti al partito maggiore con cui si è coalizzata, ecco che i suoi uomini pretendono di avere il compenso di posizioni sicure.

Complicazione nella complicazione, ogni posto sicuro per i rappresentanti delle liste coalizzate è un posto in meno per i candidati dei partiti maggiori. Si potrebbe pensare che il problema sia minore per la coalizione di centrosinistra dove c’è solo un partito grande (il PD) e maggiore per il centro destra dove i partiti grandi sono tre (FI, Lega FdI) e di relativamente piccolo c’è solo la cosiddetta quarta gamba. In realtà è solo relativamente così, perché il PD ha un enorme problema trovandosi nella spinosa situazione di avere ben oltre un centinaio fra gli attuali parlamentari che non potranno essere in ogni caso confermati perché sono frutto di un premio di maggioranza che non c’è più e dovendo fare posto ad un po’ di “personaggi” che Renzi vuol reclutare per fare un po’ di show (perché naturalmente non basta che uno abbia fatto bene l’astronauta o il medico di base o sia parente di qualche vittima per aspettarsi che sia un buon parlamentare).

Il centrodestra poi ha il problema, che sembra non sia poi tanto semplice da risolvere, della competizione fra Salvini e Berlusconi, soprattutto ora che con la rinuncia alla ricandidatura di Maroni alla presidenza della Lombardia deve sistemare anche quella casella. Scintille se ne stanno già vedendo, anche facendo la tara a quel che scrivono i giornali che tendono sempre in questi casi a drammatizzare tutto (per usare il linguaggio dei giornalisti: a montare la panna).

Insomma la vicenda delle candidature fornirà le prime indicazioni sui posizionamenti e le aspettative della classe politica che si candida a governarci. Nella speranza che questo anziché attrarre elettori alle urne non contribuisca ad allontanarne.

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