Guerra e pace

Un'occasione preziosa per riflettere sull’assurdità della guerra e misurarsi con l'idea di frontiera, in un territorio simbolo. Dove però le vicende storiche non hanno avuto sempre modo di essere rielaborate in una prospettiva futura positiva

Bolzano – La decisione di organizzare a Trento l’adunata nazionale degli alpini del 2018 ha fatto discutere fin dalla prima proposta e continua a suscitare reazioni di segno opposto. Dagli uni è ritenuta un atto coerente con la storia, dagli altri una provocazione dal sapore nazionalistico.

Non c’è dubbio che la data non è scelta a caso. Il 1918 è l’anno in cui si conclude la Grande Guerra e dunque il momento nel quale, di fatto, il Trentino (con l’Alto Adige) si stacca dall’Austria e passa sotto la sovranità italiana. Una svolta, come è noto, che non tutti salutarono con entusiasmo. Se guardiamo all’Alto Adige è fuori dubbio che la grande maggioranza della popolazione avrebbe preferito rimanere con l’Austria, benché non si trattasse più del grande impero del 1914.

È vero, sono passati cento anni. Ma è stato un secolo nel quale le vicende storiche non hanno avuto sempre modo di essere rielaborate in una prospettiva futura positiva. Spesso anzi la storia è stata brandita come un’arma, strumentalizzata per motivi politici, ridotta a ideologia. Pensiamo in modo particolare alla retorica della “vittoria” che ha caratterizzato il periodo tra le due guerre e che produce frutti avvelenati fino ai nostri giorni. Ancora nel non lontano anno 2002 la popolazione di Bolzano si espresse in un referendum per il ritorno al nome “piazza della Vittoria” di quella che la giunta comunale aveva ribattezzato “piazza della Pace”. La “vittoria” che i bolzanini (di lingua italiana) hanno preferito alla “pace” è proprio quella del 1918. Nel frattempo, per fortuna, la storia si è impossessata del Monumento alla Vittoria (la storia e non la politica nazionalistica), nei sotterranei del quale è stato realizzato “Bz ‘18-’45: un monumento, una città, due dittature”, un percorso che “affronta i problemi di una eredità scomoda, con l’obiettivo di restituire un monumento alla città trasformandolo con spirito europeo in luogo della storia”.

Ricordiamo che il governo fascista avrebbe voluto dedicare quel monumento, inaugurato a Bolzano nel 1928, a Cesare Battisti e che ciò non avvenne solo per la tenace opposizione della famiglia. Il pericolo della strumentalizzazione resta vivo anche a distanza di 90 anni. Nel logo dell’adunata del centenario il richiamo a Battisti è esplicito.

Queste circostanze e i possibili malumori avrebbero dovuto consigliare di rinviare l’evento ad una data meno controversa? Forse. D’altro canto la scelta del 2018 dà l’occasione di misurare la maturità (in senso politico e culturale) della popolazione del Trentino, della Regione e di un’Italia inserita in un’Europa che trae la sua ragione d’essere dal superamento di frontiere e storiche inimicizie.

Per l’adunata degli alpini del 2018 vale quanto è stato detto a proposito delle commemorazioni della Prima guerra mondiale. Se si tratta della celebrazione di una qualche “vittoria” o, peggio ancora, di una qualche avventura bellica, allora meglio di no. Abbiamo purtroppo sufficienti occasioni (in Trentino e in Alto Adige) nelle quali si onora l’uso della violenza in politica, si propugna la monocultura prevaricatrice e ci si dimostra schiavi di posizioni anacronistiche. Se invece il centenario della fine del conflitto mondiale serve a riflettere sull’assurdità della guerra, sulle cause (anche oggi) delle guerre e sulle conseguenze che esse provocano (ad esempio i flussi di profughi), in tal caso…

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