Una pratica che umilia la donna

Qualcosa comincia a cambiare. Adesso diverse ragazze si ribellano

Quella delle mutilazioni genitali femminili (MGF) è una pratica ancora molto diffusa in Africa. Formalmente vietata, ma assai praticata. Una pratica che è anche una tradizione, delle peggiori. Sul corpo delle donne. Senza anestesia, si usano forbici, coltelli, lame, pezzi di vetro, tutto può servire per mutilare il corpo della donna. Per renderla più “pura”, dicono. In realtà per segnarne il dominio del maschio, terra di conquista, una prevaricazione che è anche soggezione infinita. “Tu sei mia, e di te posso disporre a piacimento, come io voglio”. Quando gli uomini sono in giro per la savana con le greggi, restano “sicuri” delle “loro” donne…

Ma qualcosa – da un po’ di tempo – comincia a cambiare. Se l’infibulazione era una tradizione per molte famiglie adesso diverse ragazze si ribellano e non ci stanno più a questa pratica che mortifica la loro dignità umana. Come è capitato nel villaggio di Katabok, nordest dell’Uganda. In Tanzania, grazie ad un’organizzazione non governativa come ActionAid, alcune donne hanno intrapreso un lungo e a volte non facile viaggio verso una maggiore consapevolezza di se stesse. Riescono a coinvolgere tante loro coetanee –una sorellanza che è formidabile perché si basa sulla fiducia e sul rispetto reciproco, un fidarsi tra loro stesse che crea piccole comunità d’amorevolezza e riscatto- nell’intraprendere un lungo cammino verso la libertà più intima e ragguardevole.

E pensare che in certi contesti sociali africani è addirittura quasi impossibile trovare marito se non si è operate e cucite. Avviene fin dalla più tenera età – quando ancora sono bambine – che viene escisso parzialmente o totalmente il clitoride nella più completa mancanza di ogni minimo riguardo e precauzione igienica e sanitaria. E’ facile, per queste ragazzine – bambine, adolescenti – contrarre malattie che poi segnano ineluttabilmente la vita di tante con infezioni che, data la scarsità di medicine, diventano croniche e degenerative come il virus dell’Hiv o altre gravi patologie. Anche i compensi per le “tagliatrici” sono molto bassi, il corrispondente di circa 8 euro ma in tessuti sociali dove con 1 euro si deve vivere anche per tre, quattro giorni, diventano cifre considerevoli e importanti. Sempre sul corpo delle donne che sono già di per sé considerate inferiori ai maschi, meno capaci, meno intelligenti o quasi per niente, quando invece la vita di villaggi interi è sostenuta dalla laboriosità e creatività delle donne.

Ci sono missionarie comboniane che ho conosciuto – persone e religiose splendide, un inno alla bellezza femminile e alla vita – che rimangono affascinate loro stesse dalla vita delle donne africane in contesti difficilissimi – molto aspri, al limite – dove la natura è spesso “matrigna” per via della siccità e per la carenza di acqua che devono andare a prendere a distanza di diversi chilometri per poi portarla in recipienti pesanti in faticosi ritorni a casa.

In diffuse situazioni latinoamericane il maschio si caratterizza per l’abbandono della famiglia:se ne vanno e non si fanno più vedere e tutto ricade sulla donna-moglie-madre che spesso si vede costretta ad affidare ai figli più grandi mansioni tipicamente “paterne” come lavorare per portare a casa qualche forma di reddito. In Africa – occorre però non generalizzare – spesso la figura del maschio-marito è evanescente, fragile, caduca. Molti uomini sono senza spina dorsale, senza carattere per cui tocca alla donna sorreggere, coprire, garantire, tappare le falle, essere di fatto la figura fondamentale e imprescindibile di riferimento nel contesto familiare.

Un po’ ovunque stanno nascendo dei gruppi di donne – anche giovani e giovanissime – che hanno preso coscienza di questa ingiustizia palese che le colpisce e si ribellano. Germe per un possibile nuovo sbocco della questione femminile in tutta l’Africa. E’ l’inizio di un percorso di liberazione per tantissime donne oggi emarginate che rivendicano un loro posto nel mondo, quello che di fatto già ricoprono e occupano nel migliore dei modi com’è nello stile pratico, concreto, colmo di buon senso e di saggezza delle donne, non solo africane.

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