Il vescovo Muser: “Non parliamo di vittoria”

Il tema della guerra e della pace al centro dell’omelia della domenica di Pasqua

Bolzano – Un triduo pasquale ricco di messaggi quello celebrato dal vescovo Ivo Muser fra Bolzano e Bressanone. La croce, ha detto il Venerdì santo, “ci ammonisce ad alzare con decisione la nostra voce cristiana contro chi ferisce la dignità umana e i diritti umani. La croce resta sempre la protesta cristiana contro la crescente insensibilità verso i non vincitori nella nostra società e contro la rimozione della sofferenza e della morte”.

Nel duomo di Bolzano monsignor Muser ha ricordato come nel nome della croce in passato siano stati violati i diritti umani e come della croce si sia fatto anche abuso, come simbolo di potenza di uomini su altri uomini: “Ma Gesù crocifisso e il suo messaggio della non violenza devono restare per sempre un monito contro ogni abuso della croce nella storia e nel presente. Gesù si è fatto uomo per noi, per noi ha vissuto e per noi è morto”. In merito all’esposizione pubblica del simbolo cristiano il vescovo si è così espresso: “Nell’aula scolastica e del tribunale vengono emessi giudizi e valutazioni: la croce aiuta a mantenere lo sguardo aperto e ricorda che queste decisioni umane non sono le ultime valide. La croce relativizza e libera allo stesso tempo”. La croce nella stanza del malato, ha aggiunto Muser, “è la garanzia di un’ultima speranza, perché presso la croce c’è anche la resurrezione”. Infine il vescovo ha parlato della croce come testimonianza della presenza “di persone che agiscono senza presumere di essere punto di riferimento unico. Anche per altri credenti, che i cristiani devono incontrare sempre con grande rispetto, può così crearsi una base comune di fiducia, che è molto importante per la convivenza”.

Il tema della guerra e della pace al centro dell’omelia della domenica di Pasqua. “La pace sia con voi: è la prima parola del Risorto ai suoi discepoli. L’augurio pasquale di Cristo riveste per me – ha detto il vescovo Muser – una connotazione molto particolare in quest’anno che ci ricorda la fine della Grande guerra, cento anni fa, e ci permette di riflettere in profondità su una fase dolorosa della nostra storia. Ricordando la catastrofe di questa guerra, è necessario rinnovare la disponibilità e la volontà di difendere la pace e capire con chiarezza che la lingua della guerra non è un’opzione praticabile”. Proprio il ricordo delle atrocità che tutte le guerre portano con sé, deve impedirci “di mettere in gioco la pace gettando benzina sul fuoco dei conflitti. Anche il legittimo e necessario fare memoria della storia – con le sue ingiustizie, le sue ferite e le sue cicatrici – non può mai essere abusato per legittimare con nuovi torti l’ingiustizia compiuta in passato”. “Allora come oggi la pace è minacciata da gravi forme di ingiustizia e dal mancato rispetto dei diritti umani. La celebrazione e la giustificazione della violenza sono molto pericolose. Non dimentichiamolo mai: la guerra non inizia sui campi di battaglia, ma sempre nei pensieri, nei sentimenti e nelle parole delle persone”. In questo anno della memoria, della riflessione e del ricordo – ha detto Muser – nessuno dovrebbe parlare di una vittoria. “Non esistono vittorie ottenute attraverso la guerra, il nazionalismo, il disprezzo di altri popoli, lingue e culture”. Fare memoria “significa liberarsi delle vecchie immagini del nemico e dei metodi per costruirle e giustificarle. Fare memoria significa anche mostrare la volontà politica di trasformare i vecchi nemici in partner e amici. I cristiani hanno il compito di plasmare il futuro a partire dalla forza della loro fede pasquale e di essere testimoni di speranza nella società. Fare memoria oggi, in un momento in cui ci sono ancora tante guerre e tante persone in fuga, significa anche riflettere su quanto accade, perché non possiamo e non dobbiamo chiudere gli occhi”.

L’augurio di mons. Muser alla comunità: “Che si possa, come persone pasquali di speranza e di pace, plasmare la nostra vita e il nostro stare insieme non rivolti al passato, ma guardando insieme al futuro. Che ci venga donato il desiderio dell’unità nella diversità – qui nella nostra terra, così come in un’Europa comune – dove culture diverse tra loro si incontrano e si arricchiscono a vicenda. La fratellanza e la pace sono l’eredità che le nostre generazioni devono consegnare ai giovani, affinché le trasformino in un bene comune duraturo”.

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