La Trinità è una storia che ci riguarda?

Dt 4,32-40;

Salmo 32 (33);

Rm 8,14-17;

Mt28,16-20

Oggi celebriamo la festa della Santissima Trinità, che ci ricorda il mistero dell’unico Dio in tre Persone: il Padre, il Figlio e lo Spirito santo. Queste tre persone uguali e distinte vivono così profondamente la comunione, che formano un solo Dio. Questa comunione di Persone divine le quali sono una con l’altra, una per l’altra, una nell’altra è la vita di Dio, il mistero d’amore del Dio Vivente. Accostarsi al cuore della nostra fede può divenire un’esperienza autentica di incontro con Dio solo se non la riduciamo a elucubrazioni numeriche sterili che non toccano la nostra vita personale e comunitaria. D’altra parte il segno della croce che introduce e conclude ogni preghiera liturgica o la breve preghiera del Gloria che termina ogni salmo ci ricorda che la nostra vita cristiana è posta sotto il sigillo della Trinità e noi continuamente siamo introdotti nel mistero «del Padre, del Figlio e dello Spirito santo». Anzi, all’inizio della nostra vita cristiana siamo stati battezzati, ossia immersi in questo mistero trinitario. Ed è un mistero che respira dello stupore del libro del Deuteronomio, della passione del cuore di Paolo, della fiducia incrollabile del Risorto narrata nella finale di Matteo. Quindi, la Trinità è una storia che ci riguarda e la liturgia della Parola di questa solennità ci racconta come.

È Dio che fin dall’inizio ha cercato un popolo da amare e al quale comunicare la sapienza del vivere. È la Scrittura che rompe il velo del silenzio che nasconde il mistero di Dio. Infatti, ascoltando la prima lettura, tratta dal libro del Deuteronomio, ci viene incontro un Dio che si manifesta all’interno della storia «con prove, segni, prodigi, battaglie, con mano potente e braccio teso». Si comprende che non c’è altra via attraverso la quale Dio si rivela se non il suo agire. Dio è Colui che si è fatto vicino a un popolo, gli ha fatto udire la sua voce, gli ha donato le sue leggi e ha camminato al suo fianco. Straordinaria la domanda di Mosè: «Vi fu mai una cosa grande come questa e si udì mai cosa simile a questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l’hai udita tu, e che rimanesse vivo?». Ci viene donata non un’idea di Dio, ma una Persona divina che attraverso la sua parola ci costringe ad entrare in una relazione esigente con Lui, mai del tutto definita o posseduta. Il parlare di Dio ci pone in un esercizio di ascolto attento, libero e tenacemente disposto a mettersi in gioco. Ecco il primo dono della Trinità per noi oggi: come il popolo di Israele, anche noi siamo invitati ad ascoltare la parola di Dio e a lasciarsi illuminare da essa per imparare a vivere in pienezza. Questo ci potrebbe bastare, ma Paolo nella sua lettera ai Romani ci annuncia che abbiamo ricevuto anche il dono dello Spirito santo che penetra nello spirito dell’uomo, nel suo principio di esistere, di operare, di amare, di peccare. Lo Spirito di Dio ci insegna a chiamare Dio con il nome di Padre e ad affidarci a Lui attraverso la preghiera. Noi partecipiamo della stessa vita divina quando riusciamo a vincere il male con il bene, a guardare l’altro con benevolenza, a parlare con mitezza, a sperare l’insperato. Grazie alla potenza dello Spirito santo di Dio noi imparare a vivere da figli di Dio e da fratelli tra di noi. Ecco il secondo dono della Trinità: riconoscersi bisognosi di Dio per affidarsi a Lui nella preghiera di ogni giorno lasciandosi trasformare dal di dentro dalla forza dello Spirito di Dio.

Anche il Vangelo secondo Matteo sulla teologia della Trinità non offre formule o teorie, ma ci fa salire con gli Undici sul «monte che Gesù aveva loro indicato». È il Risorto stesso che si fa incontro ai discepoli e ridona loro la sua parola come una misura traboccante di fiducia rinnovata. «Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitavano». Vi è in questo versetto una bellezza sorprendente: la fede e il dubbio. La fede pasquale non è esente da quel dubbio che accompagna ogni autentico cammino di fede. Il Risorto non si scandalizza e non indietreggia. Si avvicina loro e nuovamente si fa prossimo a quel piccolo gruppo di discepoli fragili e timorosi. Nulla può separarci dal Risorto, anzi è proprio la nostra fragile umanità che lo attira a noi. Al centro del discorso e come incorniciato dalle due solenni affermazioni di Gesù («a me è dato ogni potere in cielo e in terra» ed anche «ed ecco, sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo»), si trova il comando dato agli Undici riguardante la loro missione: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo …». In questo modo, si annuncia che la missione richiesta ai discepoli è custodita, sostenuta e illuminata dalla presenza di Gesù. È Gesù Vivente il protagonista di ogni azione missionaria della Chiesa. È il Signore Risorto che invita ad annunciare a tutti la buona notizia del Vangelo. L’evangelista Matteo ama sottolineare che il modo concreto di «fare discepoli» si realizza mediante il battesimo e l’insegnamento della parola di Gesù. Il battesimo donato «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo» immerge chi lo riceve nel mistero della vita trinitaria. È come se si dicesse: ora non appartieni più a te stesso, ma sei proprietà di quel Nome ed in quel Nome hai il segreto più profondo della tua esistenza. Come una sorgente inesauribile alla quale attingere «un principio permanente di critica cui sottoporre tutta la nostra vita nelle sue espressioni personali e comunitarie, e per indicarci, nel contempo, il porto al quale attraccheremo finalmente la nostra barca» (don Tonino Bello, vescovo di Molfetta). Ecco il terzo dono della Trinità: dire con la propria vita che noi non bastiamo a noi stessi, ma siamo chiamati a vivere non gli uni senza gli altri, sopra o contro gli altri, ma gli uni con gli altri, per gli altri, e negli altri perché chiamati a essere immagine della Trinità. Sì, la Trinità è una storia che ci riguarda!

a cura della Comunità Monastica di Pian del Levro

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