La fiera delle ipocrisie

Tutti speculano sulla pelle dei poveracci che finiscono nel girone infernale dell’immigrazione e tirano l’acqua al proprio mulino

Il can can mediatico sulla questione della nave Aquarius a cui Salvini ha vietato l’attracco in un porto italiano rivela una fiera delle ipocrisie, perché tutti speculano sulla pelle dei poveracci che finiscono nel girone infernale dell’immigrazione e tirano l’acqua al proprio mulino senza preoccuparsi minimamente di far fare almeno qualche passo avanti nel trattamento di una questione epocale.

Cominciamo pure col leader della Lega che ha preso la prima occasione buona per mostrare che lui fa sul serio, non certo fermando gli sbarchi, ma prendendo una iniziativa di tipo propagandistico dietro a cui si celavano altri problemi che non si vogliono affrontare a viso aperto. Infatti, mentre ne respingeva seicento dirottandoli altrove, ne accoglieva novecento recuperati da nostre navi militari. Il tema non era dunque affrontare il problema, ma promuovere lo show, che i suoi strateghi pensavano utile soprattutto per mandare messaggi che sconsigliassero le partenze dalla Libia, nel momento in cui per di più si è allentata la sorveglianza della guardia costiera di quel paese.

Qui bisogna fare un discorso difficile sul ruolo delle navi delle ONG che di fatto facilitano il compito degli scafisti perché raccogliendo i “naufraghi” non troppo lontano dai porti di partenza consentono a costoro di investire meno nei mezzi di trasporto che devono fare un tragitto breve (ma guadagnano sempre tanto) e possono vendere più facilmente ai loro “clienti” l’illusione della certezza di una traversata relativamente sicura. E’ un gioco infernale, in cui il sostegno umanitario arriva solo fino ad un certo punto, perché scaricando i disgraziati in un porto italiano li consegnano ad un destino quantomeno incerto, trattandosi di migranti senza titoli per il diritto di asilo, con scarse possibilità in ogni caso di impiego in Italia (si pensi a quel che ne sarà dei minori non accompagnati).

L’ipocrisia però non si ferma qui. Basti pensare alla faccia tosta del responsabile del partito di Macron che denuncia l’Italia, immemore di quel che il suo paese ha fatto e sta facendo alla frontiera di Ventimiglia o a Calais. Salvini ha il suo pelo sullo stomaco a giocare populisticamente con la questione degli immigrati, ma francesi, spagnoli, e altri europei non si comportano certo in maniera diversa.

Certamente in questo momento l’Italia paga la debolezza di un governo che lascia la gestione di una faccenda così delicata nelle mani di un tribuno del popolo che ha dovuto lasciar andare ad occupare la poltrona del Viminale. Né il presidente del Consiglio né il ministro degli esteri hanno gestito la dimensione pubblica di questa emergenza e ciò non ci aiuterà certo nel nostro rapporto con l’Europa. Solo gli ingenui possono credere alla favoletta che comportarsi così “paga”: ha solo consentito al nuovo e abbastanza traballante governo spagnolo di farsi un po’ di pubblicità come difensore dei diritti umani al prezzo ridicolo di far attraccare ad un suo porto (fra il resto lontano) seicento disperati del cui futuro non si dice nulla.

La questione immigrazione è un tema molto difficile e non lo si risolve con l’ulteriore ipocrisia di contare in che percentuale sono coloro che stanno qui rispetto alla popolazione totale. Ovvio che il problema è dove si concentrano e come si può riuscire ad evitare il fenomeno di gruppi consistenti di sradicati e senza integrazione che sono costretti a vivere ai margini della vita sociale quando non finiscono preda delle attività criminali. Il tutto senza tacere il fenomeno intollerabile per cui persone che pure sono “regolari” si fanno vivere in condizioni subumane senza tutela dei diritti minimi, come si è visto nel caso drammatico di Gioia Tauro: difficile immaginare che gente tenuta in quelle condizioni si senta solidale con le nostre leggi e il nostro modo di vivere.

L’Europa è più che miope quando pensa che siano cose che interessano solo alcuni paesi e che gli altri se la possono cavare chiudendosi nei loro fortini o al massimo dando qualche aiuto economico (che, fra l’altro, se non gestito opportunamente, davvero genera fenomeni di sfruttamento perverso dell’aiuto ai poveri). L’Italia sarà anche un anello debole, ma è l’anello debole di una catena e se salta è l’intera catena che ne pagherà le conseguenze.

Di fronte ad un problema così drammatico sarebbe necessaria davvero una coesione nazionale, che però va costruita e non invocata in astratto vuoi alimentando le paure della gente vuoi fuggendo nei miti di un solidarismo angelicato senza rapporto con la realtà.

vitaTrentina

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