La propaganda e la realtà

Il populismo alla Salvini rischia di contagiare le opinioni pubbliche di altri paesi europei

Salvini continua imperterrito a lavorare per tenere il centro della scena: si tratti di immigrati da respingere, rom da censire, flat tax da introdurre, legge Fornero da cambiare, tutto fa brodo per guadagnarsi spazio sui mezzi di comunicazione. Secondo i sondaggi, la “pancia” del paese gli va dietro, estasiata per uno che annuncia di risolvere di colpo tutti i mali del paese. Probabilmente sospetta che siano promesse al vento, ma si gode l’annuncio salvifico che per un po’ riesce ad illudere tutti che torneranno i bei tempi andati.

Così ovviamente non è, e basterebbe prestare un occhio attento al dibattito sul DEF, il documento con cui si preannunciano le intenzioni per il bilancio che verrà stilato fra ottobre e novembre. Attenzione al dibattito, non alla risoluzione finale fatta passare alla Camera e al Senato dalla maggioranza di governo, perché lì, come era inevitabile, si lascia intendere in maniera fumosa che quantomeno si avvierà tutto quel che è stato promesso: niente aumento dell’IVA e invece interventi su pensioni, tasse, reddito di cittadinanza e quant’altro. Però il ministro Tria ha fatto sia alla Camera che al Senato un discorso realistico, per quanto con concessioni di rito al programma della coalizione che ha deciso di servire: benissimo tutto, ma si dovrà procedere senza mettere in discussione la solidità del nostro bilancio, cioè senza aumentare, anzi riducendo almeno un pochino il debito e continuando a renderlo sostenibile.

Si tratta del solito desiderio di avere la botte piena e la moglie ubriaca, perché i programmi ventilati sono costosi e su come sia possibile trovare i soldi almeno per avviarli non c’è ancora certezza. Si punta ad ottenere dalla UE un po’ più di flessibilità, ma realisticamente non si andrà oltre un aumento per il nostro sforamento del pareggio dello 0,5%, che non è pochissimo, ma certo non abbastanza per coprire le ambizioni dei partiti al governo. Quanto al ricavo della cosiddetta “pace fiscale” (in sostanza l’ennesimo condono verso chi non ha ottemperato al pagamento delle tasse) gli osservatori più attenti stimano che non darà quel grande gettito previsto. Dunque anche con quello si farà poco. Di tagli agli sprechi si parla ormai poco e meno male perché finora è stata polvere negli occhi, ma è anche un segnale che non si vogliono colpire una miriade di interessi molto settoriali, che però portano voti.

Dunque siamo ancora nell’impossibilità di capire se il governo Conte sarà in grado di avviare almeno un po’ di cambiamento. A promettere si fa presto, ma per realizzare ci vuole tempo. Si pensi al problema della riforma dei centri per l’impiego, per lo più carrozzoni burocratici che trovano lavoro a pochissimi fra i loro iscritti. Eppure è la premessa indispensabile per provare ad avviare almeno una parvenza di reddito di cittadinanza. Ci vorrà però molto tempo per mappare cosa fanno veramente questi centri, per capire perché funzionano così male e per riconvertire il loro personale ad un lavoro più dinamico ed efficiente.

Naturalmente è solo un esempio. Peraltro il negoziato con l’Europa non sarà una passeggiata. Non perché non ci sia una qualche disponibilità ad aiutare l’Italia, ma per i corrispettivi che verranno richiesti a fronte di questi aiuti. I vertici dell’Unione Europea non dovrebbero avere interesse a lasciare che si esasperi la nostra situazione con il populismo alla Salvini che rischia di contagiare le opinioni pubbliche di altri paesi europei. Già il bastione Germania ondeggia sotto gli attacchi della CSU bavarese che per scongiurare di vedersi erodere la maggioranza assoluta nel Land da parte dei populisti della AfD esige una dura politica di contrasto all’immigrazione. La cancelliera Merkel non sta mostrando la forza di reagire a questi attacchi e anzi sembra che ormai si vergogni del coraggio politico mostrato nella crisi dei profughi siriani.

Tuttavia l’Italia affronta due rischi: il primo è che paghi le concessioni sul bilancio con una sua emarginazione dal dibattito sulla riforma istituzionale europea; il secondo è che contemporaneamente si scatenino attacchi dall’esterno sulla nostra debole economia pubblica per mostrare alla gente dove finiranno seguendo Salvini. Sono due rischi grossi che con un governo sostanzialmente debole come quello attuale e al tempo stesso con una opposizione ormai dispersa e senza chance di riguadagnare un ruolo centrale potrebbero generare una tenaglia molto pericolosa che schiaccerebbe il nostro futuro.

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