Noi discepoli missionari

Am 7,12-15;

Salmo 84 (85);

Ef 1,3-14;

Mc 6,7-13

«In virtù del Battesimo noi diventiamo discepoli missionari, chiamati a portare il Vangelo nel mondo. Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione. La nuova evangelizzazione deve implicare un nuovo protagonismo di tutti, di tutto il popolo di Dio, un nuovo protagonismo di ciascuno dei battezzati. Il Popolo di Dio è un Popolo discepolo – perché riceve la fede – e missionario – perché trasmette la fede. E questo lo fa il Battesimo in noi. Ci dona la Grazia e trasmette la fede. Tutti nella Chiesa siamo discepoli, e lo siamo sempre, per tutta la vita; e tutti siamo missionari, ciascuno nel posto che il Signore gli ha assegnato. Tutti: il più piccolo è anche missionario; e quello che sembra più grande è discepolo» (papa Francesco, 15 gennaio 2014).

La liturgia della Parola di questa domenica non fa altro che ribadire questo tema dalla parte di Dio, si potrebbe dire. Infatti, Amos, Paolo e Marco, con modalità espressive differenti, manifestano il desiderio di Dio di affidare alle mani e alla bocca di ogni credente in Lui l’annuncio del suo Regno di giustizia. Sì, tutti siamo chiamati e inviati in missione da Dio. La vocazione è oggi! La missione della gioia del Vangelo è adesso! Oggi alla mente dei più la parola vocazione ha smarrito il suo vero significato ed evoca semplicemente un’attitudine personale o, ancora peggio, qualcosa che riguarda soltanto qualcuno all’interno della Chiesa. Questo annuncio creativo per la vita di tutti deve essere ancora compreso in tutta la sua bellezza, o semplicemente vissuto nella vita di tutti i giorni per gustarne la preziosità, l’indispensabilità e l’urgenza. È una storia, la vocazione, e non una teoria da applicare. C’è una missione da compiere, qualcuno da amare, qualcuno per il quale spendere e donare la vita! Paolo, nella solenne benedizione innica d’apertura della Lettera ai cristiani di Efeso (seconda lettura), annuncia che all’inizio di ogni storia personale e di quella dell’intera umanità c’è la «ricchezza della grazia» divina, il progetto d’amore di Dio. Dio gioca d’anticipo con la sua chiamata perché, prima della nostra accoglienza o rifiuto, del nostro progettare o delle nostre possibilità, Egli ci vuole suoi figli e figlie partecipi di tutto il Bene che è suo: la benedizione, l’amore, la gioia autentica, la vita in pienezza. Noi siamo amati prima di ogni altra cosa e questo costituisce il cuore segreto dell’identità di ogni persona e il senso ultimo di ogni vita. Questo è il tesoro che ci viene offerto gratuitamente. Scoprirlo e vivere di esso giorno dopo giorno ci cambia profondamente.

Il profeta Amos (VIII sec. A. C.), protagonista della prima lettura, dice con chiarezza al sacerdote Amasia del santuario reale di Betel, che la sua vita è stata stravolta dal Signore senza il minimo preavviso. Da semplice pastore e raccoglitore di sicomori il Signore lo «prende» e lo manda a profetizzare al suo popolo. Nel medesimo istante in cui chiama, Dio affida una missione, senza lasciare al chiamato troppo tempo per meditarci sopra. Lui è il protagonista. Dio sceglie sempre chi vuole, indipendentemente dalle sue qualità umane e spirituali, dalla sua condizione sociale, dal suo livello di preparazione culturale. Dio ti sorprende lì dove sei e ti invia in missione.

Il vangelo secondo Marco ci presenta Gesù che, dopo aver sperimentato l’insuccesso nella propria patria (domenica scorsa), si mostra ancor più deciso a intensificare la sua missione chiamando i Dodici a collaborare alla sua opera di evangelizzazione. In tal modo, Gesù ci ricorda che quanti vivono il vangelo sono chiamati a entrare nella logica della croce ove il successo viene sempre dopo il fallimento. È la logica pasquale da abbracciare senza timore. Gesù comunica ai Dodici come devono equipaggiarsi per il viaggio e come devono comportarsi quando arrivano in un determinato luogo. Due sono le consegne: povertà e coraggio. Non viene precisato né dove essi devono andare né cosa devono dire dal momento che non dovranno diffondere una dottrina complessa, ma piuttosto riprodurre in sé il Cristo, che annuncia il Regno. Per questo Gesù comunica loro come dovranno presentarsi perché è il loro modo di fare, di proporsi, di essere che annuncia credibilmente la parola liberatrice del vangelo. I missionari devono andare «nudi» e «leggeri» consapevoli di non avere nulla da offrire se non la parola stessa di Gesù e la sua «autorità» per affrontare la lotta contro ogni forma di schiavitù. La condizione indispensabile di ogni missione cristiana? Questa povertà estrema, questa sobrietà radicale e questa spoliazione assoluta. È una lieta notizia che ci inquieta profondamente e che ci riporta sempre all’inizio del nostro camminare dietro a Gesù. Chi può dirsi arrivato? Marco è l’unico evangelista a riferire che i Dodici sono inviati «a due a due». Anche se questo rispecchia la prassi della Chiesa primitiva e si radica sul fatto che una testimonianza ha valore nella Bibbia solo se convalidata da almeno due testimoni, non possiamo non cogliervi un’indicazione preziosa. Andare insieme, a due a due, è già una buona notizia perché rende visibile la possibilità di vivere la relazione, la condivisione, l’amore reciproco. Questa piccola fraternità itinerante rende affidabile l’annuncio del Vangelo. Questi due possono annunciare la conversione perché loro per primi la vivono sulla loro pelle in un’accoglienza reciproca quotidiana e in una ripetuta riconciliazione fraterna. Questi due possono scacciare gli spiriti impuri perché possiedono la forza dell’unità, della condivisione e del dialogo. Questi due possono farsi prossimo a chi è ammalato perché per primi sperimentano l’olio della preghiera e del sostegno reciproco. E noi?

a cura della Comunità Monastica di Pian del Levro

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