Impuntature senza senso

In tempi di cambiamenti lo spazio per ragionare si riduce e si preferisce guardare alla raccolta a breve del consenso

L’amore per la politica muscolare sta facendo enormi danni. Ormai non si ragiona più da nessuna parte, ma si procede per proclami e l’assegnare la qualifica di buoni o di cattivi dipende più da pregiudizi e da false coscienze che da serie analisi della situazione.

Il caso più facile per verificare questa affermazione è la spinosa questione dei migranti. Da un lato c’è Salvini che ha capito che si guadagnano voti con la politica del cosiddetto cattivismo, mentre dall’altro ci sono le false coscienze di un buonismo superficiale. Nessuno vuole farsi carico del vero problema, che è come invertire il trend delle migrazioni di massa verso un’Europa che non è in grado di sostenerne l’impatto. Si lascino perdere le statistiche astratte sul rapporto fra migranti e popolazione autoctona e ci si misuri con la realtà del difficile assorbimento di masse di popolazioni sradicate, difficili da inserire in cicli di vita dignitosi e dunque costrette per lo più a campare in condizioni miserabili che facilmente spingono al vagabondaggio, alla ricerca di espedienti per sbarcare il lunario, cose mettono facilmente sul confine con la legalità (ed è un confine poi facile da attraversare).

L’Europa non vuol farsi carico complessivamente del problema, né fra il resto i flussi migratori sono più di tanto disponibili ad andare dove li si vorrebbe disperdere. L’Italia finisce in prima linea (sempre più con Spagna e Grecia e vedremo come andrà a finire anche lì), ma non ha la forza in questo momento difficile di gestire un problema così complesso. In contrapposizione una serie di ONG si arrogano il diritto di decidere loro che sull’Italia va scaricato il problema e poi chi s’è visto s’è visto. Perché salvare in mare un po’ di disgraziati non è difficile ed è gratificante per sentirsi degli eroi, ma poi se i salvati finiscono inevitabilmente in un girone infernale di abbandono e di precarie condizioni di vita (ben che vada) non importa: non è compito nostro. E se di fatto il salvataggio garantito dei migranti incentiva gli affari degli scafisti e incrementa la gente a buttarsi in avventure senza sbocco, di nuovo non è affar nostro.

Ridurre la politica allo scontro senza esclusione di colpi come sta avvenendo fra le due cecità dei buonisti e dei cattivisti conduce ad esiti a rischio di finire in catastrofi: se si verificheranno saranno egualmente responsabili entrambi. Ciò che preoccupa è la difficoltà di trovare una via razionale per affrontare un problema storico e soprattutto che la protervia dei due contendenti impedisca qualsiasi sforzo di ragionare in termini realistici.

Del resto è purtroppo l’andazzo generale. Sul fronte economico, sia pure con minore impatto drammatizzante, siamo alla stessa rappresentazione. Da un lato quelli che devono difendere principi astratti: no alla precarietà, sì alla difesa dei nostri prodotti DOC, sì al diritto di godersi per tempo la pensione, ma tanto per fare un po’ di demagogia decurtiamo le pensioni alte. Dal lato opposto quelli che rovesciano astrattamente il discorso: la precarietà è l’unico modo di dare lavoro, il libero scambio senza troppe regole fa bene in termini assoluti a noi che siamo un paese esportatore, per salvare i conti pubblici è necessario lavorare più a lungo e comunque i diritti acquisiti non si toccano.

Facendo a cornate su principi astratti e puntando solo ciascuno a piantare le sue bandierine identitarie non solo non si va da nessuna parte, ma si scassa definitivamente il tessuto della coesione sociale che non regge se non è innervata da una cultura politica razionale minimamente condivisa.

In tempi di cambiamenti lo spazio per ragionare si riduce e si preferisce guardare alla raccolta a breve del consenso, soprattutto se ci sono alle porte succulente occasioni elettorali come sono quelle europee della prossima primavera. Per il resto si conta sul fatto che ci sia uno scostamento fra la ricezione dei “begli” annunci (quelli tirano subito su il morale) e la verifica della loro inconsistenza. Tutti scommettono che lungo la strada poi si troverà modo di aggiustare le cose.

Peccato che non sia così. Lo spazio fra gli annunci e le verifiche si è accorciato. In autunno si dovrà varare il bilancio e già lì si vedrà che i margini di manovra sono ridotti e che nel caso li si volesse forzare c’è pronta una reazione pericolosa dei mercati e del contesto internazionale. Alla gente non è facile spiegarlo prima, ma vorremmo augurarci di non doverle ricordare poi che era prevedibile.

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