Lula fa paura anche dal carcere

Secondo gli ultimi sondaggi il gradimento dell’ex presidente nelle classi popolari raggiunge quasi il 40%

A poche settimane oramai dalle elezioni presidenziali in Brasile (si vota il 7 ottobre) si fanno sempre più chiari i contorni della contesa elettorale. Che Luiz Inàcio da Silva detto Lula faccia paura anche dal carcere dove è rinchiuso – sia pure un carcere “dorato” – è risaputo anche sulla sabbia dell’interminabile spiaggia di Capocabana e noto nelle tremende, inaccessibili persino alla polizia, favelas di Rio e San Paolo e Belo Horizonte: in questi ultimi mesi sono stati numerosissimi i cavilli giuridici inscenati da giudici non neutrali (nella legislazione carioca non vi è netta distinzione tra giudice d’accusa e giudice “terzo” rispetto alle parti) per cercare di fermare un personaggio che risulta ancora amatissimo in tutto il Brasile. Non a caso secondo gli ultimi sondaggi il gradimento di Lula nelle classi popolari raggiunge quasi il 40%. Specie tra le fila del proletariato urbano e del bracciantato agricolo delle piantagioni – gli impoveriti del Nordest, il pulviscolo di gente che popola le favelas, quel che resta della classe operaia, di cui Lula, a suo tempo, era stato indiscusso e carismatico leader – dove da parecchio tempo si fa sentire il tremito delle politiche economiche liberiste messe in moto dal presidente Temer, un ambiguo personaggio che dovrebbe essere già in galera da mesi se non fosse che per lui è valso il principio opposto rispetto a quanto applicato a Lula, e cioè una presunzione di innocenza a prescindere dalla serie di reati commessi (reati finanziari e valutari in ispecie, ma non solo).

La campagna elettorale in tv e alla radio è iniziata il 31 agosto. Ma Lula al momento è escluso dal dibattito democratico. “La sua interdizione può compromettere la trasparenza delle elezioni”, affermano i suoi sostenitori.

Nel Brasile di oggi – dove le diseguaglianze sociali fanno passi da gigante nel verso di una sempre più marcata e intollerabile divaricazione tra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più impoveriti – si stanno confrontando due visioni del mondo completamente opposte. In tutti i settori sociali e in tutte le politiche, economiche, fiscali, e monetarie. Nella politica monetaria, così come nella politica fiscale, dove si è arretrati a sistemi di vassallaggio impositivo medievale per cui si è capovolto il principio cardine della capacità contributiva (sei ricco? Godi di una tassazione bassa. Sei povero? Paga e taci!). Una sperequazione che risulta del tutto intollerabile. E’ per questo che la popolarità di Lula continua a crescere, la crisi economica morde e si ricordano che col suo governo c’erano stati significativi passi in avanti. In effetti non si tratta tanto – a questo punto – di Lula o non Lula. Si tratta del fatto che quella che una volta si chiamava la “povera gente” (non tutta: quella più avvertita e consapevole, sindacalizzata e acculturata) si è stufata di esserlo, quasi fosse una condanna, peggio di un destino e non ci sta più a quest’assurdo gioco di incastri. Non che sia ancora la maggioranza, è uno spicchio di società ben conscia (la coscientizzazione di Paulo Freire ha lasciti insperati) dei propri diritti calpestati e delle libertà vilipese. Sussistono e persistono – nelle società più oltraggiate e rese povere – dei micidiali meccanismi che hanno a che vedere non solo con elementari rudimenti di sociologia ma pure con la psicologia, per cui agli emarginati basta dare un televisore o inebriarli di social network per cui questi desistono dall’uscire dalla propria situazione, è la categoria marxiana ben nota come alienazione. Rimane il fatto che le prossime elezioni sono di importanza fondamentale, il Brasile è inguaiato fino al collo in una recessione gravissima che si abbatte ovviamente soprattutto sui più poveri (si dà tanto risalto, e giustamente alla situazione drammatica del Venezuela, non vi è traccia, nella stampa internazionale dell’altrettanto drammatica situazione sociale brasiliana in atto da almeno un paio d’anni in qua). Non può essere la via giudiziaria a condizionare il futuro del Brasile, deve tornare il primato della politica. Della democrazia e dello “stato di diritto”.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina