Sentirsi “periferia” sul Grande lago

È una valle felice, e d’altronde non sarebbe scelta da milioni di persone come meta vacanziera se non avesse aspetti tali da renderla così desiderabile. Ma la grande valle che da Ponte Gobbo a Pietramurata si allarga piano piano fino alle rive del Garda non è immune da tensioni sociali, problemi economici e debolezze culturali.

La “Busa”, come è chiamata spesso anche al di fuori dei suoi confini, è certamente una realtà unica in Trentino. In una provincia dove o si vive in città o si vive in valli di montagna, l’Alto Garda ospita 50 mila persone che non vivono né l’una né l’altra esperienza. Divise in due cittadine di rara bellezza (come Riva e Arco) e in altri piccoli centri caratterizzati da un’elevata qualità della vita (Torbole, Nago, Dro, Tenno e Drena).

Gli altogardesani sono un po’ trentini, un po’ veneti e un po’ lombardi. Cioè sono gardesani e basta, perché la forza attrattiva del lago – e di tutto quello che esso rappresenta – è quasi sempre più forte di quella dell’entroterra. Non si sottovaluti questa presenza. Senza scomodare la psicoanalisi (le massa d’acqua dolce sono spesso associate a calma e riflessione) la presenza del Grande lago rappresenta per molti altogardesani qualcosa di speciale: il lago diventa a volte confidente, amico, compagno d’avventura e di disavventura. L’Alto Garda – si noti – è l’unico luogo di tutto il Trentino da dove è possibile ammirare la linea dell’orizzonte, in quel breve braccio di lago tra Capo Reamol e Punta San Vigilio.

Di fronte a tanta bellezza e alla ricchezza (in questo caso economica oltre che paesaggistica) che essa produce si può capire come alcuni macro-problemi sociali finiscano per essere (o sembrare) stemperati in questa terra. Da nessuna parte come qui vi è infatti una potente integrazione economica che trova nel turismo il suo volano. Ne traggono grande beneficio le imprese del commercio, quelle legate alla ristorazione ma anche il mondo dell’artigianato.

Il tutto con una presenza industriale (il secondo polo dopo Rovereto) che è riuscita a non dimostrarsi impattante e, al contrario, ha offerto una risorsa occupazionale in più a chi non può o non vuole vivere di turismo e di attività a esso collegate. Le imprese industriali presenti in zona sono una sessantina e danno lavoro a circa 4 mila addetti, producendo circa il 20% del fatturato industriale del Trentino. Non solo numeri ma anche qualità, se si pensa che qui hanno sede alcuni colossi (si pensi a Dana, ZF e Cartiere del Garda) che si impongono da tempo sui mercati internazionali e, in alcuni casi, sono in costante espansione, anche occupazionale.

L’artigianato, come si diceva, gode dei benefici dell’economia turistica: il gran numero di imprese alberghiere, della ristorazione e dell’accoglienza ha costantemente bisogno di migliorie, manutenzioni, ristrutturazioni per essere a passo di una concorrenza mondiale sempre più agguerrita. Ciò nonostante è questo un settore che avrebbe ancora margini di crescita per la sua incidente percentuale sul totale delle imprese presenti.L’agricoltura può sembrare la cenerentola dell’economia altogardesana, ma offre alcune eccellenze assolute: si pensi all’olio extravergine di oliva (con piante millenarie), alla susina di Dro, alle uve prodotte dalle cantine locali.

Ma è ovviamente il turismo a dominare la scena economica, e anche sociale della “Busa”. Con un dibattito strisciante ma di anno in anno più reale sui numeri assoluti: troppe 3,5 milioni di presenze e c’è chi parla di “numero chiuso” pur non potendolo introdurre. Il turismo però aiuta a smussare gli angoli dei tempi che viviamo: qui lavorano gomito a gomito italiani e immigrati che nell’alberghiero e nella ristorazione hanno trovato impiego. Ma crea anche altre tensioni sociali e familiari: si pensi alla realtà delle tante famiglie dove a lavorare per tutta la stagione sono entrambi i genitori.

La diversità dell’Alto Garda dal resto del Trentino ha però anche un aspetto negativo: quello di sentirsi spesso periferia estrema dell’Impero. Le feroci polemiche degli ultimi sui servizi sanitari (ospedale di Arco) e i ritardi di opere infrastrutturali (come la “Loppio-Busa”) non aiutano gli altogardesani a sentirsi più trentini.

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