Tra il cemento fiorisce il volontariato

Dall’accoglienza povera ma dignitosa di un tempo, quando l’ospite aveva quasi un alone di sacralità, al turismo di oggi mordi e fuggi diventato industria. Quasi sempre, senza anima. Mi ricordo che da ragazzino, insieme al fratello più piccolo, venivamo invitati dai genitori ad accomodarci sul fieno raccolto di fresco per lasciare il letto a due signore che non avevano trovato posto in albergo. Erano i primi anni ‘60.

Non so se e con quale entusiasmo aderivamo all’invito ma bastavano i dolcetti delle signore a rabbonirci. Divennero di famiglia e le aspettavamo ogni estate. Un aneddoto per dire, se ce ne fosse bisogno, di come è cambiato il modo di accogliere. È giusto che sia così. Ben altre sono le esigenze dell’ospite moderno e le incombenze di chi è preposto ad accogliere in un avvicendamento sempre più frenetico.

Più d’un albergatore fa intendere, “in camera caritatis”, di non vedere l’ora di chiudere i battenti. Complice anche burocrazia costosa e asfissiante. Dopo due stagioni, invernale ed estiva, che hanno battuto ogni record di affluenza è immaginabile lo stress accumulato. Una medaglia a doppia faccia, insomma. Ma sembra che non ci si possa fermare.

Salutato l’ultimo ospite è già pronto il cantiere per le migliorie.

Così è anche per gli altri settori turistici. Espansione edilizia compresa, nonostante le sbandierate “frenate”. Impianti a fune in prima linea con investimenti milionari ad ogni stagione. È l’assurdo mito della crescita bollato da Michil Costa noto albergatore di Corsara in Badia e autorevole voce critica del turismo di massa.

La fotografia sul turismo fassano mostra oltre 60 mila posti letto, due terzi in condomini e seconde case e solo un terzo in alberghi. In Gardena e Badia il rapporto è inverso. Comunque in Fassa ci sono 30 mila letti in più.

“Molti alberghi sono in perdita, alcuni in vendita, altri falliti. Questo non è un successo nè imprenditoriale né politico”, ha scritto Giorgio Jellici di Moena, elencando tutta una serie di storture, di involuzioni nella gestione turistica ed edilizia della Valle che “vista dall’alto appare come una distesa di cemento, una città allungata”. Non ultima perdita quella sul fronte culturale e di identità. Dell’impatto negativo che ha avuto questa accelerazione esclusiva dell’industria turistica sulla religiosità, la morale, le relazioni famigliari e sociali ne hanno parlato a più riprese i sacerdoti che si sono avvicendati in questi ultimi tempi: non c’è tempo da dedicare a queste cose!

Particolare l’impegno, la passione, la preoccupazione messi in campo da don Luigi Vian di Vigo deceduto nel 2016. Prete con la valigia, salesiano scomodo a molti, curie comprese, amico, medico e protettore dei tossici, degli ultimi, delle periferie direbbe papa Francesco e animatore di più Comunità di accoglienza nel Veneto.

Nel suo girovagare si era più volte ritagliato il tempo per lanciare appelli ad amministratori, famiglie, insegnanti e studenti di Fassa sui pericoli che sta correndo la società e in particolare la gioventù della sua amata terra.

Anch’essa, fra l’altro, conosce il crollo delle nascite sancito dalle statistiche 2017: altro triste traguardo dal quale trapela la paura dei condizionamenti, dei sacrifici che rappresenterebbe una nuova vita.

Per finire però una buona notizia: riguarda il volontariato. È ancora fiorente, nonostante non manchino i problemi di ricambio generazionale. È protagonista di innumerevoli iniziative in molti campi: culturali, sociali, nella protezione civile e, soprattutto, nella solidarietà.

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