Quelle omelie “troppo” dal pulpito

Talvolta nelle omelie si percepisce un atteggiamento di superbia, di sicurezza, la convinzione di pensare sempre in modo corretto. Penso invece che le omelie devono essere più dirette verso la gente e saper passare dalle parole ai fatti; l’esempio migliore ci viene da Papa Francesco, non vi pare?

(domanda posta in occasione dell’assemblea di zona pastorale)

Risponde don Giulio Viviani.

Mi aveva sorpreso il fatto che Papa Francesco avesse dedicato ben 40 paragrafi della sua Esortazione Apostolica programmatica Evangelii Gaudium (EG) proprio al tema dell’omelia. Ritenevo fosse un argomento da preti e lui l’ha invece scritto per tutto il Popolo di Dio, laici compresi. Segno evidente che voleva che su questo tema anche i laici aiutassero i preti. Dice, infatti, Francesco: “Mi soffermerò particolarmente, e persino con una certa meticolosità, sull’omelia e la sua preparazione, perché molti sono i reclami in relazione a questo importante ministero e non possiamo chiudere le orecchie. L’omelia è la pietra di paragone per valutare la vicinanza e la capacità d’incontro di un Pastore con il suo popolo. Di fatto, sappiamo che i fedeli le danno molta importanza; ed essi, come gli stessi ministri ordinati, molte volte soffrono, gli uni ad ascoltare e gli altri a predicare. È triste che sia così” (EG 135). Giustamente la domanda rivolta al Vescovo e rilanciata su Vita Trentina esprime il disagio di molti anche oggi, anche nelle nostre chiese.

Anche noi preti sappiamo per esperienza la fatica di stare dall’altra parte dell’ambone ad ascoltare… Facendo scuola proprio di omiletica in seminario dico agli alunni che abbiamo ridotto un momento bello di “conversazione famigliare” (questo significa omilein in greco) in una fatica pesante per noi che dovremo preparare bene le omelie e per i poveri laici costretti ad una altrettanta penosa fatica ad ascoltare a volte omelie inconcludenti e magari, come denuncia la domanda, con alterigia, sicumera o prosopopea. Karl Barth direbbe che se “la catechesi è un discorso su Dio; la predicazione è un discorso di Dio a noi”. Per questo è importante ricordare: Non “io parlo”, ma parla Dio. L’allora cardinale J. Ratzinger con la sua arguzia e il suo realismo chiosava: “Il miracolo della Chiesa è di sopravvivere ogni domenica a milioni di pessime prediche”.

Papa Francesco (in EG 139-140) ci offre alcune indicazioni concrete e sapienti, dicendo: «La Chiesa è madre e predica al popolo come una madre che parla a suo figlio, sapendo che il figlio ha fiducia che tutto quanto gli viene insegnato sarà per il suo bene perché sa di essere amato. Inoltre, la buona madre sa riconoscere tutto ciò che Dio ha seminato in suo figlio, ascolta le sue preoccupazioni e apprende da lui. Lo spirito d’amore che regna in una famiglia guida tanto la madre come il figlio nei loro dialoghi, dove si insegna e si apprende, si corregge e si apprezzano le cose buone; così accade anche nell’omelia… Come a tutti noi piace che ci si parli nella nostra lingua materna, così anche nella fede, ci piace che ci si parli in chiave di “cultura materna”, in chiave di dialetto materno, e il cuore si dispone ad ascoltare meglio… Anche nei casi in cui l’omelia risulti un po’ noiosa, se si percepisce questo spirito materno-ecclesiale, sarà sempre feconda, come i noiosi consigli di una madre danno frutto col tempo nel cuore dei figli».Tutti i documenti e i testi che parlano dell’omelia dicono che il sacerdote o il diacono per preparare l’omelia deve mettesi lui per primo in ascolto della parola di Dio e domandarsi: cosa dice a me questa Parola e solo dopo provare a spezzare quella Parola per la sua gente, per la comunità. Per evitare di comunicare le proprie idee, scrive ancora il Papa (EG 146): “L’umiltà del cuore riconosce che la Parola ci trascende sempre. Tale disposizione di umile e stupita venerazione della Parola si esprime nel soffermarsi a studiarla con la massima attenzione e con un santo timore di manipolarla… Perciò, la preparazione della predicazione richiede amore”. È questo che si aspetta il nostro interlocutore e con lui ogni comunità.Anche lo Strumento di Lavoro del Sinodo di questo mese di ottobre parla con accenti critici del nostro argomento: “Le omelie che molti ritengono inadeguate” (n. 69 e 187). Un invito a un esame di coscienza per tutti i predicatori! Mi ha fatto piacere qualche lunedì fa’ quando una persona, passando in bicicletta in una via di Trento, mi ha visto e mi ha gridato: “Grazie; bella la predica di ieri!”. L’omelia in genere è a senso unico e non ci sono e non ci possono sempre essere altri interventi. Ma qualche volta anche voi laici aiutateci; magari con un complimento… o anche con un bel rimprovero fatto con carità e fraternità. Un mio professore di omiletica a Padova ci ricordava che “Il sacerdote o il diacono nell’omelia può non essere un poeta, ma certo deve sempre essere un profeta!”.

Don Giulio Viviani

Per le vostre domande scrivete a dialogo@vitatrentina.it

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