“Tra voi però non sia così”

Is 53,2-11;

Sal 32 (33);

Eb4,14-16;

Mc10,35-45

Il Vangelo di questa domenica ci presenta i discepoli che, pur camminando dietro a Gesù, fanno fatica ad accogliere la sua parola che annuncia la forza di un’autorità che serve e che pone l’altro al centro. Un’autorità che libera, non rinfaccia, non si vendica, non aspetta lo sbaglio dell’altro, non approfitta della sua debolezza e non si mette un gradino più su per esigere sottomissione. Un’autorità spiazzante perché sempre pronta a ricominciare daccapo ponendosi in ascolto sincero e libero dell’altro senza rivendicare alcunché. Chi tra di noi crede davvero che è meglio per lui servire che essere servito? Lo sperimentiamo ogni giorno nelle nostre relazioni coniugali, genitoriali, professionali e sociali. Quanto abbiamo preso sul serio quel «Tra voi però non è così»? Su questo si gioca la nostra differenza cristiana. Soprattutto in questo nostro tempo così complesso nel quale siamo chiamati a riflettere seriamente che cosa significhi vivere la radicalità evangelica senza annacquarla con le nostre volontà di pancia che generano indifferenze, paure e politiche di chiusura e di respingimento. Siamo chiamati tutti a non aver paura di questa logica evangelica così disorientante, ma ad avvicinarci nuovamente a Gesù per imparare da Lui. La resistenza dei discepoli alla logica del servizio (diakonia) avviene significativamente subito dopo il terzo annuncio della passione, morte e risurrezione di Gesù (Mc 10,32-34). Questo annuncio è troppo duro per quegli uomini ancora troppo affascinati dalla ricerca e dalla conquista di un primo posto da cui poter emergere e dominare sugli altri. È una logica così paradossale: com’è possibile essere grandi facendosi servi? Che significa accogliere l’altro prendendolo sul serio nella sua differenza senza atteggiamenti difensivi? Dentro questo impervio sentiero il nostro sguardo si apre sul mistero del dono del Figlio dell’uomo e sul mistero di Colui che «non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti». Gesù non lo dice solamente, ma lo fa vedere con i suoi gesti e con la sua infinita pazienza di ricominciare a insegnare ai suoi senza rinfacciare la loro arroganza e la loro durezza di cuore. Già la prima lettura, tratta dal Deutero – Isaia, ci aveva tratteggiato il volto di questo umile Servo che attraverso l’esperienza della sofferenza e del disprezzo aveva indicato il cammino della vita agli uomini e alle donne di ogni epoca. Dio rivela tutta la sua solidarietà con l’umanità attraverso questo «uomo dei dolori» la cui esistenza appare così assurda perché segnata da una sofferenza troppo grande e profonda. Attraverso uno sguardo profetico ci viene rivelato il progetto del nostro Dio che non preserva il suo servo dalla prova, ma si pone accanto a lui condividendo quella sofferenza, assumendola fino al punto di porla nell’orizzonte di un disegno di salvezza. La sofferenza del servo, occorre ben capire, non viene da Dio, ma dalla violenza inaudita degli uomini, dalle varie forme di ingiustizia e dal loro peccato. È la forza dirompente della misericordia divina che, in un modo a noi incomprensibile, riesce a trasformare le ferite in feritoie, la croce in «trono di grazia». Gesù si identifica con questa figura di Servo, ma i suoi discepoli non capiscono. La domanda dei figli di Zebedeo, rivela quale è la logica che li muove dentro: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Ed è proprio Giovanni, il discepolo preferito, il più spirituale, insieme al fratello, a chiedere di occupare il primo posto, e gli altri dieci compagni immediatamente si ribellano, forse perché anticipati dalla loro richiesta. Vi è il rifiuto della logica della croce, la paura, si potrebbe dire, di guardare in faccia quella realtà umanamente scandalosa e incomprensibile. Con le immagini del calice e del battesimo, simboli entrambi della passione e morte di Gesù, il Maestro vuol far loro capire che prendere parte alla sua gloria è possibile solo condividendo come lui l’esperienza della pasqua. Imboccando il cammino di umiliazione e di morte Gesù mostra la sua piena condivisione della realtà umana. Questa è la gloria di Dio, questa è la luce che il servo vedrà: una misericordia così grande che attraverso il dono totale di sé vince le tenebre del male dal di dentro. È la porta stretta del Regno, è la dinamica dell’amore senza misura. Un amore non generico o indeterminato, ma vissuto giorno dopo giorno nella logica evangelica del servizio. Ci vengono in mente le parole di sant’Oscar Romero: «E’ molto facile essere servitori della Parola senza dar fastidio al mondo, una Parola molto spiritualista, senza impegno con la storia, che può risuonare in qualunque parte del mondo, perché non è di alcuna parte del mondo: una Parola così non crea problemi, non genera conflitti. Ciò che genera i conflitti, le persecuzioni, ciò che segna la Chiesa autentica, è quando la Parola bruciante, come quella dei profeti, annuncia al popolo le meraviglie di Dio, perché vi creda e le adori, e denuncia i peccati degli uomini che si oppongono al Regno di Dio, perché li estirpino dai loro cuori, dalle loro società, dalle loro leggi, dai loro organismi che opprimono, che imprigionano, che calpestano i diritti di Dio e dell’umanità».

Impariamo il coraggio di avere più coraggio nell’osare la radicalità evangelica del «tra voi non è così…» rifiutando con determinazione la logica del potere, del dominio, della prevaricazione o delle sottili manovre di emarginazione. Non nelle buone intenzioni, ma nei gesti di ogni giorno.

A cura della Fraternità diocesana di Pian del Levro

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