“Tutti i colori della pace” ci porta in Namibia

Androne del municipio vezzanese gremito all’apertura della mostra “Namibia: l’Africa tra natura, storia e sviluppo”. Quaranta immagini immortalate dall’obiettivo della fotocamera digitale di Daniela Usai sono allestite nell’ambito della rassegna “Tutti i colori della pace” volendo marcare che “in questo Paese africano la vera padrona è la natura e l’impressione è che l’uomo sia un ospite spesso rispettoso, talvolta invadente, indiscreto o addirittura prepotente”.

Un viaggio avventuroso tra paesaggi desertici e desolanti, quello condotto lo scorso luglio dalla docente di Fraveggio accanto al marito Graziano, entrambi avvolti dall’abbraccio forte del Continente nero che rapisce e avviluppa, stringe e non molla più. Una forza talmente intensa da penetrare nelle ossa, incantare gli occhi e rapire il cuore arrivando a sciogliere i pensieri quasi inavvertitamente. L’odore acre delle zolle africane all’emisfero australe respirato dai coniugi Baldessari per due settimane è filtrato poderoso e inebriante nell’anima dei presenti alla cerimonia di presentazione, introdotti dall’assessora alla cultura dell’amministrazione di Vallelaghi in compagnia della guida safari Alessandra Laricchia, vale a dire una di pochissime donne italiane ranger nella Repubblica dei diamanti.

Sei pannelli corredati da suggestive istantanee a colori: imponenti dune di sabbia dorata, tramonti roventi, animali selvaggi ripresi a distanza ravvicinata. Senza teleobiettivi, per osservare e “fermare” quanto più possibile della natura ancora incredibilmente incontaminata. Ogni scatto di Usai sembra rendere omaggio agli ambienti preservati dalla cruda realtà conquistatoria (o discriminatoria), al pari di un Eden che sopravvive nell’immaginario della gente.

La vita della fauna descritta dalla partenopea Laricchia nel suo libro intitolato “Quando la terra chiama”, 310 pagine fresche di stampa edite per i tipi di Curcio, sembra essere complementare. “La pace la tocchi quando la natura riprende in mano tutto riportando alla vita”, osserva Laricchia volata in Africa per il bisogno interiore del “mito di una terra che non ha mai cessato di sussurrare il mio nome”.

Il mal d’Africa ha trafitto il cuore di entrambe al punto da cambiare le loro vite, se non altro nel modo di stare al mondo.

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