La “vittoria” di Muser

L’invito del vescovo Ivo Muser a rinominare una delle più controverse piazze di Bolzano sostituendo la parola “vittoria” con la parola “pace”, arriva quanto mai opportuno.

La sua lettera pastorale ci riporta ai primi di novembre del 1918 quando calava il sipario sulla tragedia cui Papa Benedetto XV diede il titolo di “Inutile strage”. Qualcuno applaudì, molti stettero in silenzio. Per milioni fu il silenzio della morte. Se a cent’anni di distanza volessimo ancora parlare di “vittoria” vorrebbe dire che il “secolo breve” (con le sue lunghe appendici) sarebbe trascorso invano.

Il novembre 1918 segnò la fine di un’epoca? Piuttosto ne rappresenta il compimento. Parlo della lunga stagione dei nazionalismi, cominciata nell’Ottocento e ahimè – lo constatiamo ogni giorno in Europa e non solo – non ancora conclusa.

La proposta del pastore di Bolzano-Bressanone – chiamiamola “piazza della Pace” – non vuole solo chiudere definitivamente un capitolo storico, ma soprattutto per dare un messaggio chiaro al presente e per offrire una prospettiva futura.

Innanzitutto il cambio di nome dice l’importanza delle parole. Il nostro linguaggio – oggi più che mai – rivela la sostanza e la ricchezza (o la miseria) del nostro pensiero. “Vittoria” o “pace” diventano delle scelte. Come muro o ponte, accoglienza o chiusura, violenza o dialogo, vita o morte.

Il cambio di nome dice la necessità di avere una prospettiva storica. Di non essere appiattiti sul presente e di non incatenare il presente a un passato che non tornerà. Il “pensiero breve”, padre di ogni slogan, si nutre dell’ignoranza, a volte una “ignoranza colta” (come quella di cui la retorica della vittoria, della patria, della nazione, del sangue è espressione). Ignora soprattutto la complessità.

Già nel 2002 il sindaco di Bolzano Giovanni Salghetti ebbe il coraggio di cambiare il nome della piazza da Vittoria in Pace. Un referendum comunale annullò quella decisione. Il populismo nazionalista ebbe la meglio sulla profezia. Quell’atto ha rappresentato un blocco nello sviluppo culturale dell’Alto Adige che oggi può e deve essere superato (malgrado i tempi cattivi in cui viviamo).

Ai primi di novembre risuonano parole come “beati i costruttori di pace”. Rappresentano un pensiero esigente che mette insieme realtà complesse come la felicità, la azioni costruttive, le relazioni positive tra le persone. Sono parole antiche e sempreverdi, adatte a chi non si vuole arrendere e sa guardare lontano.

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