Come sentinelle nella notte

Dn 12,1-3;

Sal 15 (16);

Eb 10,11-14;

Mc 13,24-32

«Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena alla tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra», con queste parole cariche di fiducia e di speranza il salmo responsoriale ci offre una preziosa chiave di lettura per comprendere la liturgia della Parola di questa penultima domenica dell’anno liturgico. Siamo invitati ad interrogarci sulle grandi domande fondamentali: chi siamo? Da dove veniamo? Verso dove siamo condotti e che senso ha la vita e la morte? Soprattutto a partire dalle parole riportate dall’evangelista Marco siamo spronati a una interpretazione del tempo e della storia in relazione con Dio riconoscendone il suo orientamento. È come se partecipassimo ad un’esercitazione di orienteering dove ognuno di noi è chiamato a ritrovare il passo e a non distrarsi per non perdere i vari punti di controllo che lo conducono verso un fine che è l’incontro definitivo con Cristo, il Signore della nostra storia. Ad una prima lettura dei testi biblici proposti rimaniamo inquietati da un confronto tra queste parole piene di morte e devastazione e ciò che oggi vediamo attorno a noi. Dunque, come porsi di fronte a questi testi? Quale è il loro punto focale? Dobbiamo sostare pensosi e senza fretta per imparare a penetrare questa lieta notizia e con essa alimentare la nostra speranza per non girare a vuoto e perdere la bussola. In effetti, durante questo mese di novembre le troppe tragiche notizie che ci hanno raggiunti e la sofferenza di molte famiglie o di interi paesi messi in ginocchio dal maltempo hanno messo a dura prova la nostra capacità di alzare lo sguardo verso un orizzonte di speranza. Occorre accogliere la sfida con coraggio e con l’infinita pazienza del ricominciare. L’evangelista Marco ci offre un brano tratto dal discorso «escatologico» che presenta «le realtà ultime» della storia attraverso una impressionante coreografia apocalittica. Le eclissi di sole e di luna e gli sconvolgimenti cosmici sono immagini da interpretare non letteralmente, ma simbolicamente. Già nel Primo Testamento l’ingresso di Dio giudice all’interno della storia e del mondo era presentato con simili caratteristiche. La prima lettura, tratta dal famoso libro apocalittico di Daniele, ne è uno splendido esempio. Due immagini contrastanti ci vengono offerte: «sarà un tempo di angoscia… In quel tempo sarà salvato il tuo popolo». Il tempo dell’angoscia diviene tempo di salvezza nel quale le potenze angeliche, intermediarie di Dio, irrompono nella trama delle vicende storiche per portare a compimento il piano salvifico del Signore. Si annuncia la salvezza e la liberazione del resto del popolo di Israele e più precisamente di quei «saggi» che hanno praticato la giustizia realizzando il progetto di amore del loro unico Signore. In tal modo, il profeta vuole invitare i suoi lettori a vivere la loro esperienza di persecuzione e di angoscia radicati nella speranza di un intervento risolutore di Dio che farà valere la sua giustizia e instaurerà il suo regno. La speranza matura proprio nel momento in cui le possibilità umane sembrano esaurirsi, ma nel frattempo tutti si devono dar da fare per divenire quei «saggi» che annunciano nei loro gesti, nelle loro parole e nelle loro relazioni quanto la parola di Dio sia affidabile e in che modo la sua promessa di salvezza non possa venir meno. È molto significativo che proprio questi «saggi», con il loro impegno nella storia e con la loro incrollabile fiducia nel Signore, indurranno «molti alla giustizia» come in un circolo virtuoso dove il bene vissuto e la speranza resa visibile diventano contagiosi. Quel futuro luminoso annunciato è preparato e preannunciato nella vita di ogni giorno dove ci si esercita nell’arte del vivere cristiano grazie alla capacità sempre rinnovata del discernimento che guarda per comprendere e per conoscere ciò che avviene. Anche se a noi pare strana, la logica di Dio è la logica pasquale: dalla morte alla vita, e non viceversa. E questo scorgere feritoie nelle ferite della nostra vita va appreso senza stancarsi. Occorre imparare a essere artigiani di speranza e di giustizia come ci indica il vangelo: «Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte». Nella terra palestinese la primavera è un periodo brevissimo tra inverno ed estate e il fico è l’unico albero a segnalare visivamente l’estate con lo sbocciare delle sue gemme, ma i segni sono minimi. Occorrono occhi vigili e pronti. Così è per scorgere il passaggio silenzioso di Dio. Bisogna avere occhi spalancati, mente acuta e cuore pronto ad accoglierlo. Quando, abitati dalle parole di Gesù che non passano, diventiamo capaci di stare nella storia attraversando i suoi drammi con la speranza e la fiducia in Dio noi diventiamo quei teneri germogli che annunciano la sua vicinanza. Quando non ci stanchiamo di fare il bene, di trovare nuovi sentieri di solidarietà e di ascoltare la parola del Vangelo la nostra vita si intenerisce e annuncia l’amore fedele di Dio, che è speranza. Come sentinelle nella notte annunciamo con la nostra vita l’albeggiare della venuta del Risorto. Non lasciamoci rubare la speranza!

A cura della Comunità Monastica di Pian del Levro

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