Per amore, non per paura

Ger 33,14-16;

Sal 24;

1 Tes 3,12-4,2;

Lc 21,25-38.34-36.

Comincia il tempo d’Avvento, che è tempo di attesa e insieme di speranza. Queste mie riflessioni nascono da impegno personale e da quanto matura nel gruppo del Vangelo attivo da anni nell’Unità pastorale di Rabbi.

Spesso si ha l’impressione che i cristiani leggano il tempo con una logica mondana: tutto è destinato a ripetersi come in un eterno presente senza sorprese e novità essenziali. Il futuro appare come tempo cattivo. E con lo sguardo chino sulla terra, cosa si potrà attendere? È ben vero che ogni anno si aspetta la venuta di Gesù nella carne della nostra umanità, ma può essere una “ingenua regressione devota, che depaupera la speranza cristiana! (E. Bianchi)”. In questa prima domenica di avvento, infatti, la liturgia ci richiama a un’altra venuta, quella di Gesù alla fine dei tempi. Luca ci pone davanti una serie di immagini drammatiche: tutto si avvia alla distruzione, “mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che accadrà sulla terra” (Lc 21,26). È la paura che ci assale quando avvertiamo che quello che sembrava perfetto, immutabile, eterno, non lo è più, quello che sembrava vero dimostra la sua falsità, e quello che sembrava santo rivela il suo peccato. Il brano evangelico ha come scenario la caduta di Gerusalemme: è come ci dicesse che quando muore un ideale sembra che il mondo finisca. Anche Agostino, vedendo gli scricchiolii dell’Impero Romano pensava alla fine del mondo imminente. Ma Gesù invita ad “alzare il capo”: proprio quando accadranno queste cose, all’apparire del Figlio dell’uomo. È una figura che appare al cap. 7 di Daniele: dal mare salgono quattro bestie, una più feroce dell’altra; sono gli imperi che si sono succeduti nella storia (dai babilonesi, ai medi, ai persiani, fino ad Alessandro Magno). Ogni volta le persone hanno posto la fiducia in un potere più forte di quello vigente, e sempre si rivelava ingiusto, imperfetto. Allora viene tolto il potere a queste bestie e viene dato al Figlio dell’uomo, cioè all’uomo nella sua pienezza. È il trionfo dell’umano sul disumano. Gesù rivendica per sé questa condizione di Figlio dell’uomo. Ecco perché l’Avvento ci aiuta a sentire Dio farsi uomo, farsi vicino, ad attendere con pazienza la sua venuta, mantenere vivo sulla terra il desiderio di incontrarlo, tenendo viva l’attesa. Non possiamo cercare Dio soltanto nei nostri ricordi, nel nostro passato, perché i cristiani “dovrebbero avere nostalgia soltanto del futuro” la dove c’è una umanità da costruire, dove non si ha paura del diverso, non si condanna chi ha un altro colore della pelle, ci si accoglie come fratelli. Attendere il Signore che viene non è un atteggiamento passivo, né un’evasione. Il cristiano è in attesa del futuro con serietà. E agisce per amore, non per paura. Una storiella narra di un frate che incontrò una vecchia; ella portava due recipienti; nel primo c’erano braci infuocate, nel secondo acqua gelata. “Cosa vuoi farne?” le domandò. Rispose: col fuoco brucerò il paradiso e con l’acqua spegnerò le fiamme dell’inferno perchè nessuno faccia il bene per avere un premio e si astenga dal male per paura del castigo, ma unicamente per amore di Dio. In questo mondo avaro di sentimenti, siamo chiamati ad amare con abbondanza, a donare in eccesso (1 Tess 3,12.4,2).

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina