Imparare dalla Storia

Nel centenario della fine della guerra, torna a dire mons. Muser, “nessuno dovrebbe più parlare di una vittoria”

Bolzano – Per tutto l’anno appena passato si è fatta memoria della fine della Grande Guerra. Il vescovo di Bolzano-Bressanone, Ivo Muser, era intervenuto in occasione della festa di Tutti i Santi con una lettera pastorale dal titolo “Beato gli operatori di pace”. Un altro suo contributo alla riflessione è contenuto nel volume “18/18 Considerazioni sull’Alto Adige”, presentato dall’associazione “La Fabbrica del Tempo” poco prima di Natale.

Nelle sue “10 ragioni per imparare dalla Storia” il vescovo riprende e approfondisce i temi della lettera pastorale. Nel raccontare la storia, scrive, va considerata la prospettiva degli altri poiché l’Alto Adige si compone di diversi gruppi, lingue e culture. La Prima guerra mondiale non è caduta dal cielo, ma è stata preparata nelle teste della gente. E “le successive grandi catastrofi del XX secolo devono essere viste in stretta relazione con il conflitto mondiale 1914-1918: la salita al potere del fascismo in Italia non sarebbe immaginabile senza la precedente guerra”. Lo stesso vale per la rivoluzione d’Ottobre. “La Grande Guerra ha fornito terreno fertile al nazionalsocialismo, a un’ideologia che – disprezzando e annullando l’umano – si è spinta fino al pianificato sterminio del popolo ebreo”. Scrive il vescovo: “Dobbiamo dare un nome alle radici della guerra: il nazionalismo, eletto a una sorta di surrogato della religione; odio, disprezzo e arroganza verso gli altri popoli; la presunzione di avere potere sulla vita e sulla morte, così come l’avidità di ricchezza e di nuovi spazi da conquistare. Particolarmente pericolosa è anche la celebrazione e la giustificazione della violenza”.

Nel centenario della fine della guerra, torna a dire mons. Muser, “nessuno dovrebbe più parlare di una vittoria. Monumenti alla Vittoria – da noi e altrove – hanno perso ogni giustificazione! Non esistono vittorie ottenute attraverso una guerra, il nazionalismo, il disprezzo di altri popoli, lingue e culture. Quando finisce una guerra ci sono sempre e solo sconfitti”. “La memoria dovrebbe portarci al grande impegno per l’unità nella diversità – qui da noi, così come in un’Europa comune, dove culture diverse tra loro si incontrano e si arricchiscono a vicenda”.

Nel Sudtirolo la lingua è un elemento importante. Apprendere la lingua dell’altro è un contributo essenziale alla convivenza. Dal linguaggio aggressivo dei nazionalismi invece dobbiamo prendere le distanze, dice mons. Muser, così dalle espressioni che fomentano l’invidia sociale, la paura e la diffidenza.

Gli ultimi decenni hanno visto prevalere nella società, nella politica e anche nella Chiesa l’idea che “meglio di dividiamo, meglio ci comprendiamo”. “Questo atteggiamento va superato, per prima cosa nelle teste e nei cuori. Non è la divisione che ci porta avanti, ma la convinzione che le differenze non sono solo una sfida e un peso, ma la nostra ricchezza e la nostra chance.

Altri punti affrontati dal vescovo: la questione del doppio passaporto con l’appello a non spaccare la società (“…a chi giova questa discussione?”), l’Europa (cfr. a fianco), il rispetto e non la strumentalizzazione dei valori evangelici, l’incompatibilità degli slogan come “prima noi” con la democrazia, l’umanesimo e la vita cristiana.

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