Prepariamoci ai funerali guidati dai laici

Funerali senza il prete? Il motivo per cui la vicina diocesi di Bolzano-Bressanone sta completando un corso biennale per formare 12 persone, sei uomini e sei donne, a guidare questo momento così delicato sta nell’insufficienza di sacerdoti e nella ministerialità laicale. E’ una “soluzione” praticata nei Paesi di missione, prevista dalla CEI in caso di necessità già nel 1969 e ora attuata su richiesta dei decani altoatesini dopo un’esigente qualificazione dei laici.

Fanno però pensare certe reazioni negative alla notizia rilanciata da Agenzia Sir e Avvenire poche settimane fa. Incomprensione, perplessità, perfino dichiarato dissenso.

La contrarietà più diffusa è il timore che il laico non sia all’altezza del sacerdote – sia nelle parole che nell’atteggiamento – e quindi quella celebrazione possa risultare “di serie B”. Non solo perché manca l’Eucaristia, ma perché l’assenza del parroco renderebbe il rito meno significativo (dimenticando che c’è Cristo al centro di ogni liturgia, è Lui che celebra con la comunità!). Addirittura qualcuno si chiede con quale criterio saranno assegnati i funerali tra preti e guide laiche, temendo che il proprio “caro estinto” possa venire penalizzato.

Ci vorrà certamente del tempo – ma è bene cominciare a farlo – per dissodare il terreno dei pregiudizi radicati in una visione clericocentrica e resistenti alla corresponsabilità dei laici invocata dal Concilio Vaticano II. Come dimostra invece l’investimento sui diaconi permanenti (non sempre valorizzati al meglio, peraltro) e il servizio dei ministri della Comunione anche agli ammalati. Nell’occasione partecipata del funerale, l’annuncio biblico della Vita oltre la morte e poi l’accompagnamento dei familiari nell’ora del lutto fino alla deposizione della bara o dell’urna con le ceneri, può essere ben espresso da una guida laicale.

A Bolzano la selezione attenta (si è “pescato” fra persone già formate e attive come guide della Parola) e la qualificazione nelle necessarie competenze pastorali e relazionali – già nell’accompagnamento del morente e dei familiari – dovrebbe garantire un servizio utile e apprezzato.

Ma è la stessa comunità che deve accoglierlo, a partire dal riconoscimento della testimonianza propria del laico, in vari ambiti in cui si esprime anche la sua vocazione umana e professionale. Grazie a Dio, di esempi – maschili e femminili – ne abbiamo molti nelle nostre parrocchie. Additiamo quella dell’ex presidente di Azione Cattolica, la trentina Sitia Sassudelli (vedi pag. 17) che ci ha lasciato pochi giorni fa ma alla quale ancora attingeremo: “Venivamo da un tempo in cui i laici erano nella Chiesa ‘ciò che restava’ dopo aver scremato il buono: vescovi, preti e religiosi – testimoniò Sitia in un convegno sulle novità del Vaticano II – Col Concilio si partiva invece dal popolo di Dio, comprensivo di tutti i battezzati, investiti della vocazione comune. Dei laici non si diceva più che non sono preti, ma che hanno una vocazione che qualifica un loro ministero nella Chiesa“.

Parole di 30 anni fa che rilanciano la ministerialità laicale e sgonfiano anche l’ultima contestazione sui funerali a guida laica in Alto Adige, quella secondo la quale aprirebbero la strada ad una deriva protestante. “Lutero se la starà ridendo”, ha commentato un quotidiano zelante. Ma questa anacronistica paura della Sacra Scrittura affidata allo studio e alla predicazione di laici ben formati non merita nemmeno stroncature. Soprattutto a conclusione di questa settimana dell’Unità in cui siamo stati chiamati alla preghiera e al riconoscimento delle ricchezze presenti nelle altre tradizioni; a partire, nel caso dei fratelli Luterani, dalla fedeltà alla Parola anche per fondare la comunione ecclesiale.

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