Fra ripresa PD e declino del grillismo

I sondaggi, per quel che valgono, segnalano una ripresa del PD che tenderebbe a superare un poco il 19% e una ulteriore contrazione dei Cinque Stelle che scenderebbero al 21-22%. Sono dati registrati prima che fosse conosciuto il risultato notevole delle primarie per la scelta del segretario PD con 1,6 milioni di persone che hanno votato e il successo travolgente di Zingaretti che col 66% dei consensi ha letteralmente surclassato sia Martina che Giachetti (due espressioni dei tradizionali blocchi di potere interni al partito). Al contempo però cresce ancora la Lega che sembra arrivare al 35%.

Se questo è un trend o un episodio momentaneo lo si vedrà nelle prossime settimane e mesi, ma appare credibile che l’opinione degli elettori continui nel movimento sussultorio con continui “sciami sismici” a cui ci siamo abituati negli ultimi anni. La gente insegue il mito della soluzione dei problemi che continuano ad angosciarla: vuoi per informazioni, vuoi per istinto si percepisce che le cose non vanno bene. I dati economici non sono confortanti, non si vede una ripresa e la situazione internazionale non manda messaggi di speranza.

In questo contesto il sistema sembra torni a riassestarsi intorno all’alternativa progresso/conservazione. Il primo versante forse viene ripreso in mano da un PD alla cui testa i suoi elettori spingono un politico sperimentato, ma alieno, almeno sin qui, dal richiamo della foresta della politica spettacolo dei talk show. E’ un allontanamento non solo dallo stile di Renzi e del suo cerchio di maghetti improvvisati, ma anche dalla rincorsa all’accreditamento mediatico che ha interessato i suoi successori immediati. Il fronte conservatore è saldamente in mano a Salvini, che continua a godere del consenso di chi pensa che di fronte ad una grande trasformazione si debba rispondere incattivendo tutto. Però lo fa in modo da far capire che in parallelo lui è un uomo di gestione e dunque è capace di fare i conti con le esigenze di chi non vuole avventure oltre un certo limite. E’ la ricetta che ha portato ai successi della Lega al Nord e le ha consentito di espandersi al centro (il suo consenso al Sud è il solito trasformismo di chi salta su un carro che presume vincente).

I Cinque Stelle sono al momento sulla via dell’essere cacciati ai margini del sistema. Inutile girarci intorno: la loro crisi dipende dall’aver propagandato un mondo di fantasia che non aveva possibilità di essere realizzato. Ci si aggiunga la loro assoluta debolezza in termini di classe dirigente: non c’è oggi un solo pentastellato attivo in qualche ruolo di governo a cui si guardi con rispetto per le sue doti personali. Verrebbe da dire, visto che sono stati inventati da un teatrante, che la loro recita è alle battute finali.

Tuttavia se questa può essere ragionevolmente considerata la tendenza attualmente in atto, non è affatto detto che si realizzerà senza scosse, né che i tempi saranno brevi. I Cinque Stelle cercheranno di riprendersi e non bisogna sottovalutare la domanda di ricette fantasiose che corre fra la gente, né il fatto che molti sono ancora disposti a credere alle favole. Soprattutto non va dimenticato che attorno al M5S si è coagulato un grumo di interessi e di posizioni di potere: nei media, nel governo e sottogoverno, nelle amministrazioni, e altrove. Questa gente combatterà per vendere cara la pelle e c’è da aspettarsi che siano disposti ad azioni radicali.

Vedremo a breve come si uscirà dal pasticcio della TAV che è emblematico a questo proposito. Non si può dimenticare ad esempio che il premier Conte sarebbe una delle sicure vittime del contrarsi del potere grillino. I Cinque Stelle non amano che li si etichetti in questo modo, ma il loro problema è proprio che arrivati al governo non sono stati capaci di uscire da quelle impostazioni teatrali e trasformarsi in un ricambio di classe dirigente in formazione. Salvini è stato lesto a capirlo e li ha abilmente usati come sgabello per arrivare alla sua meta di signore del nuovo conservatorismo italiano, capace di mescolare linguaggi e modi grevi con comportamenti che ammiccano al realismo nelle gestioni delicate.

Il nuovo PD di Zingaretti potrebbe dare uno scossone chiarificatore al sistema, a patto che riesca a scrollarsi di dosso il lascito combinato del professionismo correntizio della tradizione dei vecchi partiti da cui deriva e il rampantismo dilettantesco della stagione renziana.

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