La lezione di chi è mite dentro

Non tutti i miti saranno martiri – grazie a Dio! – , ma tanti martiri hanno incarnato il dono della mitezza.

Questa lezione della storia, una delle tante rilanciate lunedì sera a Trento dall’affollatissima “Cattedra del Confronto” (pag. 15), illumina la preghiera alla quale siamo invitati nella Giornata dei missionari martiri domenica 24 marzo, nel 38° anniversario dell’uccisione di Oscar Arnulfo Romero, proclamato santo nell’ottobre scorso.

Era un mite dentro, l’Arcivescovo di San Salvador. “Lavorato” dallo Spirito Santo e convertito ai poveri da Rutilio Grande, il confratello pure assassinato, Romero ha indossato la disarmante corazza della mitezza: “Il martirio è una grazia che non credo di meritare – disse in un’intervista premonitrice – . Ma se Dio accetta il sacrificio della mia vita, che il mio sangue sia seme di libertà e il segno che la speranza sarà presto una realtà”.

Prima ancora del giorno in cui fu colpito sull’altare, è stata la lunga resistenza di Romero a mostrarci l’abito virtuoso della mitezza. Che non significa – come ha sottolineato il “nostro” Custode di Terra Santa, fra’ Francesco Patton – un buonismo di facciata. Scaturisce da una santa indignazione verso l’ingiustizia, si esprime in una coraggiosa denuncia dei soprusi e s’impone come fedeltà ai fratelli oltre che a Dio: “Per amore del mio popolo, non tacerò”, disse Romero con queste lontane parole del profeta Isaia, risuonate anche martedì 19 marzo a Casal di Principe nel messaggio di don Peppino Diana, martire della mafia 25 anni fa.

Furono miti dentro anche i missionari trentini segnati dal martirio, i cui nomi l’Arcivescovo Lauro ricorderà domenica sera in Cattedrale. Una mitezza che può essere raffinata da periodi di estenuante prova ma che concede già in terra tregue di consolazione, come appare nel diario del beato padre Mario Borzaga che si considerava “un uomo felice”, senza se e senza ma. Oppure nell’ultima lettera del comboniano padre Remo Armani dal Congo, scritta il 7 ottobre 1964 nel giorno del suo compleanno prima della decisiva imboscata dei guerriglieri Simba: “Noi ad ogni modo restiamo sul posto. Capiti quello che vuole. Il Signore sa quello che fa e sa che ci siamo. Del resto dalla nostra gente di qui non abbiamo nulla a temere. Ci vogliono bene e ci aiutano”.

Quanto questa mitezza evangelica possa rivelarsi evangelizzante lo constatiamo ancora oggi sul terreno nel quale i nostri missionari hanno operato: ad esempio nel Mozambico, in questi giorni provato da un disastro naturale e per troppi anni martoriato dalla guerra civile, oppure nel Burundi della primierotta Catina Gubert, dove si sta mostrando feconda la semina del perdono.

E’ molto significativo che sempre più spesso siano le comunità locali a trarre coraggio dall’esempio dei volontari o dei propri catechisti (come il giovane collaboratore di padre Mario, Paolo Thoj Xyooj ) per affrontare i rischi della difesa non violenta della dignità umana, testimoniando l’amore di Gesù, il Messia mite.

Sono 38 i volti miti dei testimoni uccisi nel 2018 nei cinque continenti (per lo più in Africa): nel riconoscerli in tanti spicchi del mappamondo e nel rileggere le loro schede biografiche, colpisce l’origine popolare, la fedeltà alla Parola, l’imitazione del confratello, come fu per Paolo che aveva visto morire il protomartire Stefano. E colpisce anche l’ampio ventaglio di ingiustizie planetarie nel quale i martiri appaiono anche sempre più spesso vittime delle conseguenze dei crimini ambientali, sottolineati venerdì in piazza dai giovani trentini.

Il martirio non va cercato e non tutti saremo chiamati al martirio, ma il silenzio quaresimale in questa Giornata così vicina all’Annunciazione ci aiuta a scavare la sorgente della mitezza dentro di noi, per bonificare il mondo intorno a noi.

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