Corridoi umanitari, solidarietà e sicurezza

Fiumicino (Roma), 28 marzo – Il piccolo Adi accarezza con lo sguardo dall'oblò dell'Airbus 320 la pista di atterraggio. Siamo in Italia. Sono le 7 e trenta del mattino. Tre ore e 40 minuti di viaggio da Beirut, da dove siamo partiti nel cuore della notte con il volo Alitalia AZ0827, per lasciarsi alle spalle il campo profughi di Tel Abbas, nel nord del Libano, dove Adi ha trascorso la maggior parte della sua giovane vita. La Siria, da dove la sua famiglia è scappata per fuggire alla guerra, è solo un nome, per lui. Ad accogliere Adi e gli altri 49 profughi siriani, tra cui 14 minori, ci sono le organizzazioni promotrici dei corridoi umanitari. L'iniziativa è interamente autofinanziata dalle realtà che l'ha promossa e si realizza grazie alla generosità e all’impegno volontario di tanti italiani.

I corridoi umanitari, promossi dalla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI), dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Tavola Valdese, in accordo con i ministeri dell’Interno e degli Esteri, hanno portato in Italia dal 2016 ad oggi 1.400 profughi.

“Oggi la vostra vita ricomincia nella dignità e nella speranza per voi e per i vostri bellissimi figli”, li saluta Paolo Naso, coordinatore di Mediterranean Hope, il programma rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). “Come chiese evangeliche, insieme ai fratelli e alle sorelle di Sant’Egidio, saremo al vostro fianco nei prossimi mesi”. Per la prima volta è presente l’Unione Buddhista Italiana, con il suo presidente Giorgio Raspa, che conferma l'interesse a promuovere l'iniziativa di accoglienza. C'è anche la vice ministra per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale, Emanuela Del Re, dei Cinque Stelle, che da esperta di geopolitica e sicurezza apprezza l'arrivo attraverso un canale sicuro di questo nuovo gruppo di profughi siriani.

Ecco Samar, cuoca, divorziata, due figli, proveniente da un campo palestinese, e l’amica Mariam, che fa fatica a camminare. Ecco AlF., da un campo profughi nel nord del Libano, arrestato e torturato per 9 mesi quando aveva solo 14 anni: oggi ne ha 20 anni e vuole fare il regista. Ecco un piccolo cardiopatico, che all'ospedale Gaslini di Genova avrà le cure che la sua famiglia non poteva permettersi in Libano. Ecco la famiglia Mbarak, che l'operatrice del Centro Astalli Eleonora Gabrielli e il referente trentino per i corridoio umanitari Mattia Civico sono andati a prendere nel nord del Libano per accompagnarli nel lungo viaggio fino al Trentino. Associazioni, parrocchie e comunità in diverse regioni italiane accoglieranno il nuovo gruppo e faciliteranno un percorso di integrazione attraverso l’apprendimento della lingua per gli adulti, la scuola per i minori e l’inserimento lavorativo, una volta ottenuto lo status di rifugiato.

Quello dei corridoi umanitari rappresenta un modello efficace, che coniuga solidarietà e sicurezza, tanto che è già stato replicato in altri Paesi come Francia, Belgio e Andorra, consentendo così l’arrivo in Europa, in modo legale e sicuro, di circa 2.500 persone dal febbraio 2016.

“I corridoi umanitari sono veramente una soluzione per le grandi questioni umanitarie che ci sono ancora in Siria e per i siriani, così come per le persone che vengono dal Corno d’Africa”, ci dice Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio. “La guerra in Siria non è finita, i campi profughi sono pieni di migliaia e migliaia di persone che sono lì da anni e non vedono un futuro. I corridoi umanitari hanno dimostrato che ci può essere accoglienza e integrazione, per dare un futuro a queste persone”.

Federica Brizzi, responsabile dell’accoglienza ai corridoi umanitari per Mediterranean Hope, conferma l’impegno della Federazione delle Chiese Evangeliche: “Siamo convinti della piena qualità del progetto e della sua importanza, perché offre una delle poche possibilità di accesso legale all’Europa, in questo momento in cui il tema dell’immigrazione è molto caldo”. E aggiunge: “Abbiamo visto in questi ultimi anni quanto i corridoi umanitari siano serviti non soltanto a fornire la possibilità di accedere legalmente e in sicurezza all’Europa e in Italia, ma anche a favorire l’accoglienza e l’integrazione”. Le fa eco Paolo Naso: “I corridoi umanitari funzionano, servono ai profughi, ma anche all’Italia per mantenere alta la sua tradizione di paese che afferma e difende i diritti umani”. Resta un rammarico: il buco nero della Libia (vedi a pagina 20). “Chiediamo – dice Paolo Naso – un grande corridoio umanitario europeo dalla Libia, dove decine di migliaia di persone vivono in condizioni disumane in cosiddetti campi profughi”. Sulla stessa lunghezza d'onda è Marco Impagliazzo: “Noi chiediamo all’Europa di allargare questo programma, ad altri pesi europei di accoglierlo perché funziona; gli italiani si sono mobilitati, così come molti francesi e molti belgi. Anche altri paesi europei possono dare la possibilità ai loro cittadini di essere persone che accolgono”.

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