La relazione che fa rinascere

Is 43,16-21

Salmo 125 (126)

Fil 3,8-14

Gv 8,1-11

Con quale sguardo considero la persona che ha sbagliato? Penso che possa cambiare e avere in futuro una vita nuova? Le nostre comunità sanno ridare speranza a chi ha sbagliato?

«Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova, proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,18). Dio è sempre al di là dei nostri pensieri, oltre ogni nostro desiderio. Apre strade nel deserto, immette fiumi nella steppa, cambia i cuori di pietra in cuori di carne, disarma la voglia di vendetta con la forza mite del perdono. E quella donna peccatrice, quella adultera, trascinata al mattino nel tempio per essere giustiziata, l’ha sentita scorrere sulla sua pelle quella parola rassicurante di Dio. Qualcosa di nuovo stava germogliando nella sua vita, in quella vita che per tutti era solo peccato e tradimento. E gli osservanti della legge, gli accusatori senza pietà, sempre pronti a difendere la legge e non la persona, sono lì incattiviti, a gettare la donna ai piedi di Gesù e a pensare: questa volta forse possiamo incastrare anche lui!(Sì, perché anche Gesù trasgrediva spesso…)

Senza giri di parole ricordano al Maestro che quelle donne andavano messe a morte come già Mosè aveva prescritto. Ma Gesù tace; non guarda nemmeno in faccia gli accusatori. Scrive per terra. Mosè ha comandato la morte, Dio no! Fa una cosa nuova anche e ricorda che anche la Legge stata data per la vita e non per la morte, è stata donata per far fiorire le gioia di chi vive e non per far sgorgare lacrime di chi deve essere ucciso. La donna è là in mezzo. Tutti gli accusatori con la pietra già in mano la circondano. E là c’è anche Gesù, Colui che perdona, colui che dà una nuova possibilità, una vita che si rinnova. Quelli già godono della giustizia che avrebbe finalmente trionfato grazie a loro: Gesù non dice di non scagliare quelle pietre, ma mette una condizione: «Chi di voi è senza peccato…» (Gv 8,7). Gesù mette in chiaro che chi si atteggia a difensore della legge per condannare gli altri, deve essere il primo a praticarla, ricorda che non esiste solo il peccato di quella donna… E allora se ne vanno tutti, a cominciare dai più vecchi.

Gesù rimane solo con la donna, si alza, guarda con tenerezza i suoi occhi spaventati e le parla. Non la chiama «peccatrice», la chiama «donna»; una donna certamente fragile, ma lei non è il suo errore, lei vale molto di più. Non è prigioniera del suo passato, ma appartiene già al futuro, ai semi che verranno seminati, alle persone che saranno amate, ai progetti da realizzare. Gesù non apre un processo contro di lei. Chiede soltanto: «dove sono i tuoi accusatori?» Dove sono quelli che vedono solo i peccati degli altri? Gesù non giustifica la colpa, ma fa ripartire la vita! È questa la quaresima: «è l’incontro col figlio dell’uomo che zittisce le condanne ipocrite», che invita a pensare a cosa c’è nel proprio cuore. Non dovrebbe la Chiesa «che ha condannato con la massima severità gli errori … usare la medicina della misericordia piuttosto che la severità» (Giovanni XXIII)? E invece che «deprimenti condanne proporre incoraggianti rimedi» (Paolo VI)? L’obiezione che sicuramente nasce in ciascuno di noi riguarda il comportamento da assumere nell’ambito civile, dove sono necessarie regole e anche condanne per chi non le rispetta. Dunque questa parola non serve? Io penso il contrario. Questa parola ci suggerisce che se pensiamo che bastino correzione e punizione a far crescere una umanità nuova, siamo in errore, ci illudiamo perché succede che la può esasperare accentuandone gli aspetti negativi. Anche in campo civile occorre credere che solo il dialogo e le relazioni possono far nascere e crescere una nuova società. Non è quanto si auspica anche la nostra costituzione, quando vede la pena volta al recupero di chi ha sbagliato ed è in carcere? Perdonare è in questo caso caricarsi della persona e dei suoi problemi per aiutarla ad assumere le sue responsabilità.

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