Cercate il vivente!

At 10,34a.37-43

Sal 117 (118)

Col 3,1-4 oppure: 1Cor 5, 6-8

Gv 20,1-9

Dio lo si deve cercare, più che nel passato, nel presente e nel futuro. Lascio che il Risorto mi spinga a cercare e portare i segni della tomba vuota nella mia comunità e nella umanità intera?

È ancora buio e silenzio quando le donne vanno al sepolcro, come per ricordarci che la Pasqua non sorge d’improvviso, ma affonda le sue radici nella notte del Sabato Santo. Le nostre chiese, immerse nelle ombre della veglia pasquale, ci hanno ricordato quella notte di lutto, di disperazione per un figlio, un amico, un maestro, inghiottito dentro un sepolcro, ucciso dall’odio e dall’inimicizia dei capi religiosi e politici e di una folla manipolata e cieca. La luce e la gioia della Pasqua devono farsi largo in mezzo alle tante difficoltà che anche i discepoli hanno nel comprendere l’annuncio: Gesù è risorto!

Nel capitolo 24 Luca descrive l’impatto che questo annuncio ha sulla fede dei discepoli. L’evangelista denuncia subito come la comunità faccia fatica ad abbandonare l’antico. Le donne osservano ancora il comandamento del riposo del sabato, giorno in cui non era permesso nessun lavoro. Quindi non era possibile nemmeno recarsi al sepolcro e imbalsamare il corpo di Gesù. Vi si recano «il primo giorno della settimana» (è il giorno di una nuova creazione) e «non trovarono il corpo di Gesù» (Lc 24,1-3). Le donne rimangono sconcertate, non capiscono e si domandano che senso può avere tutto questo. Due uomini in vesti sfolgoranti (che ricordano la Trasfigurazione) annunciano loro una grandissima verità di fede, che riguarda l’esperienza del Cristo risorto, ma anche la vita di tutti i credenti e il loro impatto con la morte. «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?» Il sepolcro è l’ultimo posto dove si può incontrare Gesù, e il monito è di andare nella vita di tutti i giorni, tra gli uomini per poter sperimentare ancora il suo amore. Gesù ha vinto la morte e non si può continuare a cercarlo tra i morti. È il Messia, ma è anche «il Figlio dell’uomo», cioè l’uomo che ha raggiunto la condizione di pienezza e può così partecipare alla vita di Dio. Gesù aveva detto che avrebbe dovuto soffrire molto, «essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi». Le persone che si ritenevano giuste davanti a Dio, che facevano parte del sinedrio, il massimo organo giuridico di Israele, sono in realtà peccatori, lontani da Dio. Per loro basta la legge. E la legge suggerisce che, una volta osservata, si può stare tranquilli, perché hanno compiuto il loro dovere. Gesù è oltre la legge. La sua unica legge si chiama amore vissuto, l’unico culto a lui gradito è la promozione della dignità umana (conf. Mt 25, 31-46: il giudizio finale). In questo Dio ci sorprende sempre. Anche nel momento grande e unico della resurrezione, invia le donne a darne l’annuncio. Secondo la tradizione ebraica Dio non aveva mai parlato con una donna. O meglio, si era rivolto a Sara, ma siccome questa gli aveva risposto con una bugia, una innocua bugia, da quel momento non rivolse loro neppure una parola. Ed ecco che persone senza alcuna credibilità sono mandate a portare il più grande annuncio della nostra fede. Agli apostoli le loro parole sembrano «vaneggiamenti». «Pietro tuttavia si alzò, corse al sepolcro e, chinatosi, vide soltanto i teli. E tornò subito indietro pieno di stupore per l’accaduto» (Lc 24,12).

Il credere in Gesù risuscitato non nasce dall’andare a vedere un sepolcro vuoto, ma dall’incontrare un vivente. E, come Luca dirà poco più avanti, Gesù vivo lo si potrà incontrare quando si spezza la vita per gli altri. Questo non è un modo di dire, è semmai l’invito a evitare la tentazione di «imbalsamare Dio», immobilizzandolo e rendendo sterile in questo modo la sua verità, la sua presenza nel mondo, la sua opera che salva. Pasqua ci ricorda ogni anno, o meglio ogni domenica e ogni giorno, che il credente deve saper scorgere sul volto di ogni uomo il volto di Cristo che ha vinto la morte. Ogni pregiudizio nei confronti di un uomo o di una donna porta il segno della morte, ogni mano tesa e ogni sforzo per liberarci da facili superficialità, condanne ed egoismi, è sperimentare la luce del Risorto.

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