La nostra luna

Dove si trovava il 20 luglio 1969  e cosa ricorda di quella sera/notte di 50 anni fa? Che cosa le ha lasciato (e ancora le lascia) quella vista della luna così…vicina?

 

ANDREA ZANOTTI

“Il mistero in diretta”

Il 20 luglio 1969 mi trovavo a casa con il naso incollato a quella televisione in bianco e nero puntata sulla luna, il cui mistero si stava disvelando in diretta. Ricordo la voce un poco nasale di Tito Stagno e la sua emozione, l’emozione nostra: e la sensazione, netta, di essere dentro ad una pagina unica ed irripetibile dell’avventura umana della sua storia. 

Riemerge ancora oggi, nonostante fossi allora alle soglie dell’adolescenza, un’onda di sensazioni: e le citazioni – condivise con le mie sorelle maggiori –  che costellavano quel procedere del LEM verso la superficie del nostro satellite. Dalla scena della creazione scolpita in Genesi, ai versi del poeta della Luna, Giacomo Leopardi. L’uomo aveva davvero inforcato l’Ippogrifo che fino a quel momento era solo un’invenzione fantastica di Ariosto: e su quel cavallo stava violando i pallidi cammini di una vergine luna che, fino a quel momento, aveva sorvegliato i nostri destini e custodito quel senso della vita che ancora sfuggiva – sempre con Leopardi – al pastore errante dell’Asia. E, poi la certezza, lucida e lacerante, di avere perso un’ingenuità millenaria: e che nulla sarebbe stato più come prima.

Andrea Zanotti, docente di diritto canonico e presidente coro SOSAT   

Nadia Scappini

“In quella notte capitolai”

Erano tre gli esami fondamentali che volevo dare nella prima sessione del mio primo anno di Lettere classiche all’Università di Padova: storia della filosofia, archeologia e storia greca. A quei tempi le sessioni d’esame erano tre e conveniva non perdere tempo. Poteva infatti capitare di essere bocciati con voto negativo sul libretto – in gergo corrente, di essere cacciati – o, nella migliore delle ipotesi, di essere invitati a ripetere la prova nella sessione successiva. A giugno avevo superato bene i primi due esami, dunque ero caricata per puntare al traguardo del terzo, il cui appello era fissato per il 23 luglio.

La famiglia aveva programmato la consueta vacanza sull’Adriatico e io avevo messo i libri in valigia. Ma non avevo fatto i conti con il sole, il caldo, gli amici, i tandem, le canzonette, la sabbia che s’infilava tra le pagine… Lottavo con tutta me stessa per non mollare. Giornali, radio, televisione allertati per l’imminente allunaggio. La tensione era alta. Seguivo e non seguivo la cosa, tentando di rimanere concentrata sulla mia, di impresa, sempre più ardua con i nervi che cedevano, la testa nel pallone, l’insonnia in agguato. Fu in quella notte che capitolai: davanti alla tv, nella saletta dell’hotel, sentendomi un microbo. Spossata e delusa, non resistetti a vedere la luna così vicina, né riuscii a presentarmi all’esame di storia greca. A ripensarci provo ancora una sensazione di disagio, come di sconfitta. Non così se penso alla luna del pastore errante leopardiano: Che fai tu, luna, in ciel?

Nadia Scappini, scrittrice e poetessa, editorialista di Vita Trentina.

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Luigi Bressan

“L’immensità del creato”

Nel luglio del 1969 ero a Londra per due mesi di corso intensivo di inglese. Si sapeva della sfida degli USA di arrivare per primi sulla luna, ma sembrava una meta ben lontana. Del resto i ricordi romantici di origine leopardiana ce la rendevano ancora più inavvicinabile: luogo del sogno, non terreno concreto. Quei primi salterelli di Amstrong sul suolo lunare e l’impronta del suo scarpone sulla sabbia dettero un tonfo al cuore: una nuova epoca iniziava per l’umanità. Mi sembrava una data importante come quella del 1492 quando Colombo congiunse Europa ed America. Se ciò era stato possibile, quanto non si sarebbe potuto sviluppare con i satelliti!

Qualcuno dubitò e parlò di un fotomontaggio (magari con riprese dall’Islanda) e si sa che nell’islam vi fu a lungo chi sostenne che era una montatura, perché nei loro testi sacri si affermava che non era possibile raggiungere la luna.

Ma l’evento manifestava la grandezza dell’universo creato, poiché quella impresa era solo un piccolissimo passo verso l’immensità dello spazio, testimone della grandezza di Dio: Egli ha fatto il mondo e l’inventività umana! Inoltre, quella visita non dette titolo di proprietà agli americani ed essi non lo chiesero, poiché la luna, come lo spazio, i  mari e l’ambiente non sono cose di nessuno, ma di tutta l’umanità. Fu un successo che esaltò il genio umano, ma richiamò anche quanto siamo una parte di un tutto ben più vasto delle nostre vallate, e della nostra Italia.

+ Luigi Bressan, arcivescovo emerito di Trento, ha pubblicato recentemente “Celestino Endrici contro il Reich” (Athesia editrice):

Andrea Castelli

“Gli occhiali di Stagno”

Ero a casa in via Marco Apuleio 24 a Trento. Mi stavo chiedendo come diavolo facesse Tito Stagno a vedere la luna con quegli occhiali spessi, quando il LEM allunò. Fu un’emozione epocale, bisogna dirlo. Ero uno studentello imberbe delle superiori e cercai di convincere il mio fratello piccolo ad andare sul balcone per vedere se sulla luna qualcosa si muoveva. Ci andò.

Andrea Castelli, attore e regista, col Teatri Stabile di Bolzano mette in scena “La meraviglia”.

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Micaela Bertoldi

“Lo sguardo illuminato”

Dell’avventurosa impresa lunare, ricordo l’emozione e il piacere di assistere alla trasmissione televisiva che ne dava notizia, lo sguardo illuminato di interesse del babbo e lo scambio di parole con mia madre.

Per me allunaggio ed entusiasmo degli scienziati si coniugavano perfettamente con l’avventura che avrei affrontato di lì a poco, divisa tra università e insegnamento.  In quei giorni sembrava possibile raggiungere la luna ed anche una maggiore giustizia sulla terra.

Micaela Bertoldi

Docente e scrittrice, ha pubblicato il romanzo “Vite di carta” (Edizioni Del Faro)

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Duccio Canestrini

“Una messinscena”

Ospite di un eccentrico medico inglese, in un paesino dell’Essex, ricordo quel giorno, perché dopo essermi tuffato nel torrente, torbido e troppo basso, mi presentai in famiglia piuttosto grattugiato. Sicché la data del 20 luglio del 1969 la associo a due colori, il grigio del televisore che trasmetteva la cronaca e il rosso del sangue che mi colava sul petto. Dubito di aver capito l’importanza dell’evento.

Avevo tredici anni, ed ero in preda a una formidabile tempesta ormonale. Per di più, in quella casetta di campagna circondata dai lamponi aleggiava un allegro scetticismo, come se la faccenda dell’allunaggio non fosse altro che una messinscena per incantare i creduloni.

Duccio Canestrini, Antropologo e scrittore, ha pubblicato “Antropop. La tribù globale”, Bollati Boringhieri, 2015

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