Migrazioni forzate e memoria collettiva

“Apriremo le porte a 3,6 milioni di rifugiati e li manderemo da voi”: così il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha minacciato l’Unione Europea, dissuadendola dal prendere posizione contro la recente occupazione per mano turca della Siria. Sono delle parole, queste, che riecheggiano quelle che il colonnello Mu’ammar Gheddafi pronunciò nel 2011, quando, in un’intervista, asserì che l’Europa, senza di lui, sarebbe stata “invasa da migliaia di immigrati”.

A fronte dei recenti avvenimenti – e di un passato altrettanto importante – può quindi essere interessante cercare di ragionare sul fenomeno migratorio, che colpisce e paralizza a più riprese l’Europa, non facendo sconti nemmeno all’Italia da quando, nel 1991, ci furono i primi sbarchi dall'Albania sulle coste del nostro Paese che, nel mentre, tentava di gestire l’immigrazione sempre e solo in chiave emergenziale. Anche di questo si è parlato con Giorgio Romagnoni, operatore legale del Centro Astalli, in un appuntamento del ciclo “Costruiamo ponti”, proposto venerdì scorso al Centro Giovani di Vigolo Vattaro dall’associazione Solidarietà Vigolana.

Romagnoni ha scelto di ripercorrere gli episodi più significativi degli ultimi trent’anni di storia delle migrazioni in Italia andando a ritroso. La discussione è partita da un dato: sono 70 milioni, oggi, le persone interessate dalle migrazioni forzate. Si tratta di numeri superiori a quelli della Seconda Guerra Mondiale. “E allora -ha riflettuto Romagnoni – forse ha ragione papa Francesco nel dire che stiamo vivendo una sorta di Terza Guerra Mondiale a pezzetti”.

L’ospitalità dei migranti forzati grava soprattutto (per l’84%) sulle spalle dei Paesi in via di sviluppo e, in particolar modo, su Turchia, Pakistan, Libano ed Uganda. In Europa, invece, il Paese che fa di più in questi termini è la Germania.

I ministri degli Interni di Italia, Malta, Francia e Germania sono giunti da poco – a fine settembre – all’accordo di Malta, che stabilisce un “meccanismo temporaneo di solidarietà” a cui gli stati dell’Unione Europea potranno aderire su base volontaria. Questo patto, che riguarda in particolar modo i migranti salvati dalle ong in mare, arriva dopo un avvicendarsi di crisi che si sono susseguite nel corso dell’ultimo anno. Nel frattempo, a fine settembre, numerose organizzazioni sociali italiane e internazionali si sono mobilitate attraverso la campagna “Io accolgo”, che ha lanciato un appello al governo ed al parlamento italiani chiedendo di abrogare i due decreti sicurezza – contrari ad ogni normativa internazionale sul diritto di asilo – e annullare gli accordi con la Libia.

Per ragionare sulle restrizioni poste all’immigrazione in Italia, però, si deve andare a ritroso, a quando, nel 2017, sotto il governo Gentiloni, vennero promossi il Memorandum con la Libia e la legge Minniti-Orlando, che tolse un grado d’appello per i migranti.

Inserendo la retromarcia si arriva poi al marzo del 2016, quando Unione Europea e Turchia firmano, senza l’approvazione del parlamento europeo, un accordo a seguito della cosiddetta “crisi migratoria” che, nel 2015, ha portato alla ribalta della cronaca la rotta balcanica. È quel patto che Erdogan impugna in queste settimane quando sostiene che “riempirà l’Europa di migranti”: in virtù di tale accordo, infatti, l’Unione Europea paga 6 miliardi alla Turchia, che, in cambio, trattiene i migranti sul proprio territorio.

Dopo lo scoppio della guerra in Iraq, Tony Blair dichiarò: “Il nostro stile di vita non è in discussione”. “In sostanza, stiamo facendo un discorso sugli stili di vita. Paghiamo i turchi e i campi di concentramento in Libia. La vera domanda è: siamo disposti a cambiare?”, è stato l’appello lanciato da Romagnoni.

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