Il potere preferisce le chiacchiere alla memoria

Proprio nei giorni dedicati alla memoria dell’apertura dei cancelli di Auschwitz, papa Francesco ha pubblicato il suo messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali, dedicato a come la memoria si traduce in narrazione. E il 24 gennaio, ricorrenza di san Francesco di Sales, il vescovo altoatesino Ivo Muser ha ripreso questi temi nel suo tradizionale incontro con gli operatori della stampa.

Già nel suo saluto natalizio alla Curia romana, il pontefice aveva detto che “appellarsi alla memoria non vuol dire ancorarsi all’autoconservazione, ma richiamare la vita e la vitalità di un percorso in continuo sviluppo. La memoria non è statica, è dinamica. Implica per sua natura movimento”.

Le parole di Francesco alla Curia sono sempre attese con una certa trepidazione da coloro che, appunto, si aggrappano ad un’autoconservazione che è conservazione di qualche briciola di potere, di prestigio, di legami di appartenenza a sistemi che contraddicono le logiche evangeliche. Non a caso il discorso del papa è stato dedicato in gran parte al cambiamento. Un cambiamento che è fedeltà ai contenuti della fede cristiana. E non è un caso che coloro che temono di perdere il loro potere chiedano anche esplicitamente (ma per lo più con manovre nascoste) la testa del papa (e di chi antepone il Vangelo ad altri interessi).

“Non tutte le storie sono buone”, scrive Francesco nel messaggio sulla comunicazione. “Quante storie ci narcotizzano, convincendoci che per essere felici abbiamo continuamente bisogno di avere, di possedere, di consumare. Quasi non ci accorgiamo di quanto diventiamo avidi di chiacchiere e di pettegolezzi, di quanta violenza e falsità consumiamo. Spesso sui telai della comunicazione, anziché racconti costruttivi, che sono un collante dei legami sociali e del tessuto culturale, si producono storie distruttive e provocatorie, che logorano e spezzano i fili fragili della convivenza”. Di fronte al “dire male”, che segna drammaticamente anche molti nostri ambienti ecclesiali, l’appello è quello di attingere alla sapienza “per accogliere e creare racconti belli, veri e buoni. Abbiamo bisogno di coraggio per respingere quelli falsi e malvagi. Abbiamo bisogno di pazienza e discernimento per riscoprire storie che ci aiutino a non perdere il filo tra le tante lacerazioni dell’oggi; storie che riportino alla luce la verità di quel che siamo, anche nell’eroicità ignorata del quotidiano”.

Non “dire male”, ma “dire il bene”. È quanto chiede anche il vescovo Ivo Muser che rivolge un invito a tutti i professionisti dell’informazione: “Fra le notizie di cui venite a conoscenza, non dimenticate di scrivere ogni tanto un pezzo o di fare un servizio che sia un seme di speranza. Non dimenticate di raccontare una buona notizia che dia a un giovane una valida ragione per desiderare di diventare grande. Amplificate il bene, mettetelo sotto la lente di ingrandimento; saranno in tanti a dirvi grazie”.

“I media devono contribuire a costruire ponti: tra passato e presente, tra le persone, tra i gruppi linguistici, con uomini e donne provenienti da altri Paesi”. Allo stesso tempo è importante mettere al centro della notizia l’attenzione alla singola persona: “La critica è legittima e assolutamente necessaria, ma il rispetto del singolo, della sua vita, delle sue idee, non può essere facoltativo”.

La conclusione di mons. Muser, che vale per i giornalisti come per gli uomini di Chiesa: “Vi auguro un uso attento e coscienzioso del linguaggio e anche delle immagini che creano realtà. Ringrazio per il vostro servizio indispensabile nella nostra società e vi chiedo di essere responsabili. Avete molte possibilità di costruire o demolire, di illuminare o di mettere alla berlina, di formare o deformare le opinioni, di promuovere il bene o di giocare col male. Vi auguro un alto livello di professionalità e un grande rispetto per la dignità di tutti”.

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