Vaticano-Cina, canali aperti

Fa sperare in una vera svolta un articolo del vescovo di Hong Kong, cardinal Tong

Quando si parla di Cina e di Chiesa cattolica, il tempo dovrebbe essere misurato in secoli. Papa Francesco sembra saperlo bene. Il 2 ottobre scorso, interrogato in merito dei rapporti tra il Vaticano e la Cina Popolare sull’aereo che lo riportava a Roma dopo la visita apostolica in Georgia e Azerbaijan, il Pontefice disse che: “Le cose lente vanno bene, sempre. Le cose in fretta non vanno bene”. Eppure qualcosa in questi mesi si muove davvero.

Una premessa è necessaria. La Cina comunista fondata da Mao aveva un’ideologia atea: ne hanno fatto le spese tutte le religioni, sia quelle autoctone (taoismo, confucianesimo) sia quelle “importate” (cristianesimo, islam… sempre vissute come corpi estranei anche durante l’Impero), con persecuzioni su vasta scala. La svolta di Deng, cominciata alla fine degli anni 70, non ha solo aperto la Cina al capitalismo, ma ha inaugurato un nuovo atteggiamento nei confronti delle fedi. Non esiste ovviamente una “libertà religiosa”, ma queste istanze spirituali vengono intese come elementi propizi per mantenere l’ordine. Il rapporto con le religioni è quindi strumentale: devono essere controllate, limitate, ma non più osteggiate.

Per quando riguarda i cattolici, la Repubblica Popolare ha costituito 60 anni fa l’Associazione patriottica cattolica cinese, una sorta di “Chiesa parallela”, quella ufficiale che si confronta alla Chiesa sotterranea, clandestina, in comunione con Roma. Nel corso dei decenni la tensione tra queste due realtà è stata molto elevata, con periodi di breve distensione e di lunga repressione da parte del regime: vescovi incarcerati, spariti e uccisi; fedeli intimiditi.

Il nodo dottrinale insolubile riguarda la nomina dei vescovi senza consenso papale. La Santa Sede non reclama questo diritto per una questione di “potere”, ma in quanto la Chiesa universale per nessun motivo non può essere divisa in organismi autonomi locali: ne andrebbe della stessa successione apostolica e dell’intero edificio della comunione ecclesiale. Nel tempo si è cercata una via intermedia (venivano concordate le nomine episcopali tra Roma e Pechino) senza rotture definitive anche quando il regime volle nominare vescovi di propria iniziativa, addirittura facendoli consacrare da altri “vescovi” non in comunione con il Papa e quindi automaticamente scomunicati.

Si può dire che la Chiesa ha avuto molta pazienza. E a volte i cattolici perseguitati non hanno approvato questo atteggiamento benevolo. Ricordando solo gli ultimi anni, non si può dimenticare che dopo la conciliante lettera ai cattolici cinesi di Papa Ratzinger del 2007, il regime rispose con quattro nuove ordinazioni episcopali illegittime tra il 2009 e il 2010 e poi con l’arresto del vescovo ausiliare di Shanghai, fedele a Roma, nel 2012. Scese di nuovo il gelo.

Con Francesco un nuovo tentativo, segnato da gratuiti gesti di vicinanza e attenzione tipici dello stile bergogliano, come per esempio gli auguri per il Capodanno cinese del 2016. È stato avviato un canale diplomatico con la costituzione, nel 2014, di un gruppo di lavoro sino vaticano che ha terminato i suoi lavori a fine anno scorso. In questi mesi si sono susseguiti “alti e bassi” difficilmente decifrabili.

La notizia che fa sperare in una vera svolta è un articolo del vescovo di Hong Kong, cardinal Tong, pubblicato il 9 febbraio scorso. In punta di penna il presule ripercorre la storia dei rapporti tra la Repubblica Popolare e la Santa Sede arrivando alla conclusione che un accordo generale sia possibile in tempi brevi. Il Papa avrà l’ultima parola nella nomina dei vescovi. Sul resto si può discutere. Francesco non vuole perdere questa possibilità che scaturisce dalla sua impostazione generale basata sul dialogo.

Alcuni, come il cardinale emerito Zen, non appoggiano, anzi criticano apertamente, questa strategia. Il direttore di AsiaNews, padre Bernardo Cervellera, descrive con due parole il clima di attesa tra i cattolici cinesi: gioia e sgomento. Speranza in un accordo, angoscia per una nuova illusione. Così ci ha detto padre Gianni Criveller, missionario del PIME proprio a Hong Kong: “Non ci sono certezze circa le trattative tra Vaticano e Cina. Il lungo articolo del card. Tong esprime bene il grande desiderio e impegno dell'autorità della Chiesa di un accordo possibile e benefico per i fratelli e sorelle in Cina. La controparte sembra lontana dal mostrare lo stesso impegno. Non siamo ancora vicini all'auspicata svolta”. Staremo a vedere.

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