Gas ed energia, Germania sul banco degli imputati

Nessun singolo paese può affrontare da solo la crisi energetica

Nella grande partita europea sul prezzo del gas la Germania è sul banco degli imputati. Ben 15 paesi dell’UE, fra cui Francia e Italia (ma non la Germania), hanno scritto alla Commissione perché si decida a proporre un tetto globale al prezzo del gas. Ma fino ad oggi trovare un accordo fra i 27 membri dell’UE sembra impossibile, proprio perché Berlino continua a traccheggiare. Anzi, ad aggravare la questione, il governo del socialdemocratico Olaf Scholz ha deciso di mettere sul piatto dei cittadini tedeschi alle prese con l’aumento dei prezzi dell’elettricità ben 200 miliardi di Euro. Una cifra davvero enorme che la Germania può sostenere grazie al suo invidiabile spazio fiscale. Da qui le proteste dei 15 paesi che aspettano una proposta europea. Lo stesso Mario Draghi, in una recente dichiarazione, denuncia la mossa di Scholz ritenendo che non ci si possa dividere secondo la capacità nazionale di manovra fiscale, ma che a prevalere debba essere la solidarietà europea.

Tutto vero, ma vediamo quale è la reale situazione all’interno dell’Unione. Complessivamente i 27 hanno fino ad oggi messo a disposizione dei propri cittadini ben 500 miliardi di Euro. Oltre ai 200 di Berlino, si debbono aggiungere il 100 della Francia, i 66 in successive rate dell’Italia fino alle cifre inferiori di Danimarca con 209 milioni e ultima l’Austria con soli 16 milioni. Insomma tutti e 27 i paesi con modalità e cifre diverse hanno dovuto intervenire per fare fronte ai disagi e alle proteste dei propri cittadini. è abbastanza evidente che agendo in questo modo disarticolato e con pesi di intervento profondamente diversi si mettono in forse sia le regole di concorrenza comuni sia la competizione fra le imprese dei diversi paesi, che se sostenute da massicci aiuti di stato finiscono per ottenere migliori condizioni di mercato.

Tutto ciò ci porta inevitabilmente a constatare come l’Unione sia priva di una vera e propria politica energetica. è un po’ quello che è successo con la pandemia, quando gli stati membri si sono lanciati in una corsa ad accaparrarsi gli strumenti sanitari necessari per affrontare l’emergenza del primo periodo di Covid-19. Solo con l’arrivo dei vaccini la Commissione di Bruxelles è riuscita a trovare l’accordo dei governi per comperare collettivamente le dosi da distribuire nell’intera Unione, evitando così una competizione fratricida fra i paesi e ottenendo al contempo migliori condizioni di prezzo dei vaccini stessi. Il tutto completato poi dal grande Fondo per la resilienza e ripresa economica, che oggi sta cercando di modernizzare e sostenere l’economia europea.

Di qui la constatazione concreta del valore dell’integrazione europea. Integrazione che è ancora ben lontana dal manifestarsi sul piano energetico. è proprio questa la ragione che spinge oggi gran parte degli europei, fra cui l’Italia, a mettere sotto accusa le decisioni del governo tedesco. Se infatti un intervento nazionale è giustificato dall’urgenza della situazione di crisi e dalle richieste dei cittadini di abbassare la bolletta energetica, non è comprensibile che non si cerchi con tutte le forze di affrontare il problema nella sua sostanza strategica, che è quella di dare vita ad una politica energetica dell’UE. Sappiamo infatti bene come un passo del genere sia impossibile da affrontare senza una convinta partecipazione tedesca.

Storicamente qualsiasi avanzamento nell’integrazione europea non ha potuto concretizzarsi senza l’adesione e in alcuni casi la guida tedesca. O meglio, senza un accordo fra Germania e Francia.

Su questo argomento dell’energia Parigi è già allineata con la posizione dei 15 in favore di una soluzione europea. Manca quindi solo l’ok di Berlino, dal momento che il tema centrale è quello di fissare, come predicato da mesi da Mario Draghi, un tetto globale al prezzo del gas. Per ottenerlo occorre che la decisione sia dell’UE, anche perché il tetto avrà un costo finanziario e dovrà quindi essere sostenuto da un nuovo fondo comune, come è avvenuto proprio dopo la pandemia. Più in generale a preoccupare è l’atteggiamento tedesco di muoversi autonomamente rispetto ai partner comunitari. è successo anche dopo l’invasione russa dell’Ucraina, allorquando il cancelliere tedesco ha deciso di aumentare il bilancio della difesa di ben 100 miliardi di Euro, cosa mai avvenuta in Germania dal dopoguerra in poi. L’urgenza di quella decisione, dettata dall’aggressione russa, poteva essere comprensibile. Ma assistere a questo repentino riarmo tedesco non ci tranquillizza. Meglio se questa mossa fosse stata accompagnata da una convinta spinta tedesca ad una politica di difesa europea, cosa di cui si parla fin dai tempi della Ced, progetto sostenuto anche dal nostro Alcide Degasperi. Lo stesso ragionamento dovrebbe valere anche per la politica dell’energia dell’UE.

In altre parole, a preoccuparci dovrebbe essere il “sovranismo” tedesco, privo di una prospettiva europea. Discorso che deve essere esteso a tutti i sovranismi dei paesi dell’UE. Non è infatti con questi atteggiamenti, vagamente ricattatori, che si proteggono gli interessi nazionali, ma con un loro continuo confronto in una prospettiva di soluzione comune europea.

Nessun singolo paese può da solo affrontare la crisi energetica o quella della sicurezza che affliggono oggi l’intera Unione. è solo con l’avanzamento dell’integrazione europea che si coltiva l’interesse sostanziale del proprio paese. Un tema da sottoporre anche all’attenzione del futuro governo italiano.

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