Giovani con i giovani

Nel cammino verso il Sinodo voluto dal Papa i preti novelli “sentono” di dover stare vicini ai loro coetanei, in un ascolto che si fa ricchezza. Come è stato per loro

Luca: “Anche la vita da prete è bella. Lo possiamo dire davvero, per le premesse che abbiamo potuto vivere”.

Francesco: “L'unico timore è essere considerati come dei supereroi, perché non lo siamo”.

Francesco e Luca, partiamo dalle esperienze che vi hanno portato in seminario. Quali le più significative, e perchè?

Francesco: Intanto, il gruppo giovani in parrocchia a Ravina e a Romagnano, Stare con quesi amici mi ha aiutato a mantenere anche un legame rispetto al mio cammino di fede; penso che senza quel gruppo difficilmente sarei andato in chiesa. L'altra esperienza che mi ha dato veramente tanto è stata con gli scout nel gruppo Trento 12 a Madonna Bianca: il fatto che il cammino di fede fosse unito a tutte le attività mi ha fatto capire che la fede poteva dare un po' più di gioia alla mia vita.

Luca: Direi la crescita nella mia parrocchia anche se Godenzo Poia è un paesino molto piccolo di 200 abitati. Non grandi iniziative pastorali, ma una vera comunità dove ci si vuole bene e dove ci si conosce. Penso ai chierichetti, al coro parrocchiale, quanto aiutano a vivere la Chiesa come qualcosa di nostro, qualcosa a cui apparteniamo.

Poi la scuola – il liceo Prati è un ambiente che ti stimola e ti fa pensare – e il convitto dell'Arcivescovile dove la vita comunitaria dà molto e anche la presenza di un sacerdote e di un piccolo gruppo interno al convitto di studenti, chiamato “il sale della Terra”, con tante occasioni di incontro e di riflessione, molto importanti.”

A parte queste esperienze giovanili, dopo il seminario così vi tenete nello zaino, adesso?

Francesco: L'esperienza di vita comunitaria in seminario, a partire dalle cose più banali della comunità. Vivere insieme ad altri giovani con i quali ci si trova uniti da una stessa scelta e dal fatto di aver incontrato in un qualche modo lo stesso Dio, ti porta per forza di cose a chiederti cosa ci unisce e cosa invece ci distingue. Ti fa apprezzare l'altro, ti aiuta a riconoscere i tuoi difetti così come i tuoi pregi, perché è chiaro che nella vita comunitaria i difetti degli altri li vedi subito, ma impari a capire anche quali sono i tuoi, ad accettare te stesso e ad accettare molto di più gli altri. E' fondamentale non solo per il seminario, ma per la vita in generale.

Luca: Oltre alla vita comunitaria, che ti fa crescere molto, anche l'esperienza di una vita di preghiera, quindi un'educazione alla preghiera. Che sia davvero un incontro vivo col signore, il rapporto con la parola di Dio, la celebrazione dell'Eucarestia quotidiana, è importante. Penso che il prete sia uomo delle relazioni, uomo dell'incontro con le persone e uomo anche della relazione col signore, che nasce nella preghiera.

Da parroci probabilmente vi troverete anche un po' soli, perché si prevede che tra una ventina d'anni i preti in attività saranno una cinquantina. Quando sentite questa previsione, cosa vi vien da pensare? Un po' di timore?

Francesco: In realtà no, sento una grande fiducia di fondo, almeno in me, nel fatto che comunque possiamo essere sicuri che Dio questa Chiesa la sta guidando. Se prendiamo questo come un dato di fatto, è giusto preoccuparsi di capire come ci si dovrà organizzare come diocesi e come parrocchie, però lo si può fare sicuri che qualche strada la si troverà, che noi non abbiamo al momento le soluzioni in tasca, ma che forse invece siamo chiamati a cercarle e non da soli ma a cercarle insieme, tra di noi come preti, ma insieme soprattutto alle comunità.

UN FUTURO CON POCHI PRETI

Anche Luca non si fascia la testa in anticipo?

Luca:”Sì, anche la mia serenità dipenda dal fatto di sapere che in fin dei conti è la comunità cristiana quella che porta avanti la fede e l'esperienza di Chiesa. Vedendo anche alcune esperienze positive di grandi unità pastorali mostra quanto sia il sacerdote il coordinatore, colui che spinge, colui che incoraggia, ma in fin dei conti se noi avremo delle comunità vive, che hanno a cuore il signore e il servizio alla Chiesa, il prete si troverà molto più sollevato.

Nel futuro più prossimo c'è un Sinodo che pone la Chiesa in ascolto dei giovani. Voi ci siete in mezzo. Di che cosa hanno bisogno i giovani oggi?

Luca: E' una grande fortuna diventare preti in un momento in cui anche la Chiesa universale mette al centro i giovani. Anche la scelta del Papa di convocare un Sinodo specifico per i giovani, ci spinge ad una attenzione specifica per i giovani. Ma non è vero che i giovani di oggi siano peggiori dei giovani di qualche anno fa, probabilmente i giovani oggi hanno più bisogno di luoghi di incontro; da parte mia penso ad esempio all'oratorio, luogo di incontro significativo, dove poter sviluppare amicizie veramente che vadano al di là della semplice conoscenza. Credo che, anche come preti, sia questo: offrire occasioni, offrire spazio, offrire tempi e sapere che i sacerdoti e noi siamo disponibili. Siamo con i giovani per dare loro occasione di incontro con loro stessi e anche con il Signore. Questo necessita anche di pazienza, sapere che non sempre le cose sono come le vogliamo, o come magari gli adulti li vogliono, perché i giovani non sono ovviamente come gli adulti.

Francesco: A me pare che in realtà i giovani se ci mettiamo veramente ad ascoltarli, ma non solo dicendo che li vogliamo ascoltare, ma mettendolo veramente in pratica, facendo vedere che siamo interessati a quello che sono e a quello che hanno da dire, veramente c'è spazio per la novità. Perché in quella novità forse Dio può indicare qualche pista, qualche suggerimento, cioè qualcosa di interessante per la Chiesa oggi. Dall'altra sono convinto che, se come comunità cristiana non ci si mette in ascolto, paziente e attento dei giovani, ci condanniamo al suicidio assistito…

L'ACCOGLIENZA DEGLI IMMIGRATI

Un affondo nell'attualità politica: la legge sullo Ius Soli, cosa vi ha fatto pensare in questi giorni di aspro dibattito parlamentare?

Francesco: “Anch'io sono nato all'estero, in Bolivia (dove i genitori erano in servizio internazionale, ndr.), il tema mi sta a cuore. Come cristiani dobbiamo dire che la Terra è di tutti. E perché i nostri giovani dall'Italia possono andare in giro per il mondo e invece da altri paesi non possono venire qui? Perché questa differenza?

Sono convinto che chi nasce e cresce qui devva avere l'opportunità di sentirsi e poter diventare italiano. A meno che non vogliamo condannarci ad uno scontro continuo…

Luca è d'accordo?

Luca: Sì, credo che la Terra sia di tutti e sia esperienza di una comunità cristiana autenticamente accogliente, quello che anche i vescovi hanno detto e quello che anche il Papa spesso ripete. Noi non siamo solo dei cittadini italiani, siamo dei cittadini italiani cristiani, e quindi il Vangelo ci dice di dare un'accoglienza che può avere varie forme, ma dev'essere anche uno stile di fondo, un'apertura a dire “l'altro mi sta a cuore”.

Un commento infine sul titolo che il nostro arcivescovo don Lauro ha scelto per la lettera pastorale che sarà consegnata poi tra pochi giorni a San Vigilio: “La vita è bella”. Cosa significa per voi?

Luca: A questo titolo accattivante mi viene da aggiungere che “la vita da prete è bella”. Lo possiamo dire davvero, per le premesse che abbiamo potuto vivere, al di là delle difficoltà e del futuro carico di lavoro. Però abbiamo rapporti anche con tanti sacerdoti anziani che ci dicono quanto siano soddisfatti al termine della loro esperienza sacerdotale. Perché è il Signore che la guida, è un atto di fiducia che fa prima di tutto lui a noi e noi rispondiamo a questo atto: sapere solo che il Signore ha fiducia in noi rende bella la vita.

Francesco: Certo, che la vita è bella, perché nella nostra vita possiamo scoprire in un qualche modo Dio: è lì che ci parla, che ci aspetta, è solo questione di aprire gli occhi. Quindi qualsiasi incontro con gli altri, qualsiasi incontro che possiamo fare, Dio è lì, che ci aspetta. Allora sì che la vita è bella.

Infine, dal pomeriggio di sabato cosa vi aspettate?

Luca: Per me è già bello sentire che quel giorno saranno presenti quanti mi hanno accompagnato nella comunità cristiana. Non sono entrato in seminario da solo, ma con l'accompagnamento della mia famiglia, del mio paese, delle parrocchie che ho conosciuto negli anni successivi. Non sarà una giornata piena di fuochi d'artificio ma affascinante per quella gioia vera e profonda, che mi auguro possa restare nei prossimi anni.

Francesco: Io aggiungerei che l'unico timore è essere considerati come dei supereroi, perché non lo siamo. Sarà semplicemente un inizio. Abbiamo voglia di metterci al sevizio di queste comunità cristiane e ci basta questo.

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