Un Paese senza respiro

Millenovecentonovantuno, Somalia, Africa orientale. Da un paio di anni tutta la regione è in una situazione di guerra o guerriglia. Sono quelle immagini che ci passano davanti all'ora del telegiornale: morte, sangue, violenza – fame e popolazioni in fuga. Non ci possiamo fare niente, torniamo a guardare nel piatto della minestra. Le multinazionali del petrolio hanno fiutato della possibile presenza di giacimenti individuati dai satelliti americani. Il petrolio è il motore delle guerre: in Somalia la situazione precipita in una guerra civile quando (nel '91) viene deposto il dittatore Siad Barre. Barre era molto ammanicato con gli USA e aveva concesso permessi di trivellazione alle maggiori case petrolifere. Con metodi dittatoriali aveva tenuto ferma per qualche anno la situazione interna alla Somalia. Dal '91 la Somalia è in uno stato di guerra civile continua con fasi più o meno acute. La Somalia è considerata come uno degli stati più poveri e più violenti al mondo.

Millenovecentonovantuno, novantadue e novantatré. Tre anni di siccità eccezionale; raccolti persi e carestia. Tutto questo aggrava gli effetti della guerra civile; ma in più in quegli anni di penuria si formano bande di predoni – armati e supportati da potenze e da gruppi economici stranieri. Prendono il nome altisonante di signori della guerra, ma sono sporchi banditi che depredano la popolazione, trafficano con l'Europa (anche con l'Italia) rifiuti tossici e radioattivi, trafficano droga, depredano i convogli degli aiuti alimentari mandati dall'ONU.

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