Renzi: rilancio continuo

L'impostazione scelta dal premier ha il suo fascino, ma anche i suoi rischi

Renzi è continuamente costretto a rilanciare: si è detto che è come il ciclista che se sta fermo cade. Lo si è visto nel suo intervento martedì sera all’assemblea dei parlamentari PD. Ci si aspettava un dibattito sulle riforme costituzionali e forse sulla legge elettorale, ma il premier ha fatto un intervento a tutto campo, ribadendo che l’obiettivo del suo governo è una riforma globale per affrontare i nodi di questo paese. Ha invitato ad astenersi dal “cadere nel derby ideologico” e anche questo è suonato significativo.

Soprattutto ha voluto sottolineare che riformare il paese è “di sinistra”, un concetto che sembrava essere scomparso dal vocabolario politico dell’area del PD, fino a non molto tempo fa piuttosto impegnato nella “tutela” delle conquiste del passato.

Intendiamoci: l’impostazione scelta ha il suo fascino, ma anche i suoi rischi. La grande riforma non è una passeggiata che rimette a posto i cocci lasciati dalle precedenti gestioni, ma una specie di terremoto che per ricostruire deve prima distruggere. Questo è l’aspetto che Renzi e la sua squadra tengono in scarsa considerazione. Non si tratta di una questione marginale perché il paese non è nelle migliori condizioni per affrontare i problemi che nasceranno da una coraggiosa riforma delle sue strutture portanti.

La recente indagine Istat che ci dice che un italiano su 10 sta sotto la soglia di povertà, la disoccupazione che ha livelli preoccupanti in generale, e livelli astronomici in quella giovanile che va oltre ormai la soglia dei trentenni (e ciò significa impedire a generazioni di metter su famiglia, cioè di contribuire a quello che è in senso proprio il ciclo vitale di una società), sono lì a renderci attenti al fatto che la rimodulazione del nostro sistema pubblico va maneggiata con cura.

Ovviamente non si tratta di fermarsi, perché delle riforme c’è un bisogno assoluto: con la giustizia non si può andare avanti così, la vischiosità della pubblica amministrazione è una palla al piede, il sistema fiscale va rivisto e via elencando (e Renzi è bravissimo ad elencare). Non si tratta neppure di illudersi che una gestione morbida del cambiamento possa esser resa possibile da un negoziato con la parte più intelligente, o semplicemente meno stupida delle varie corporazioni che si sono fatte il nido nel caos di questi anni. La questione è riuscire a realizzare qualcosa.

Giustamente è stato osservato che Renzi agisce come se fosse sempre in campagna elettorale. È vero, ma la ragione è che lui deve essere sempre in campagna elettorale, perché solo una realistica minaccia di potersi appellare con successo alle urne se non lo lasciano lavorare può consentirgli di vincere le resistenze interne.

In questo momento la sua forza è duplice. Da un lato ha sbaragliato l’opposizione di centro-destra, semplicemente perché sembra in grado di realizzare quel che Berlusconi aveva promesso nei vent’anni passati e che non è neppure riuscito ad avviare. L’estrema sinistra e gli intellettuali snob ironizzano sul fatto che Renzi sia un Berlusconi di sinistra. Non hanno colto che è semplicemente uno che ha capito che in passato l’uomo di Arcore ha raccolto un grande consenso illudendo tutti che avrebbe realizzato la tanto attesa “modernizzazione” del paese, sicché ora è relativamente facile rubargli i vestiti e affermare che quel che Berlusconi non è stato capace di fare, lo farà il nuovo rottamatore. Con la vecchia logica di Deng-Xiao Ping: non importa il colore del gatto, importa che prenda i topi.

Dall’altro lato al momento riesce anche a mettere in crisi il grillismo, che aveva scommesso sull’esasperazione della gente per le riforme che non si riuscivano a fare e che si proponeva come il partito del “vaffa” a quelli che non erano capaci di farle. Poi, dopo averli sbeffeggiati, si sarebbe visto che fare. Ma la gente in fondo mostra di preferire di credere almeno che ci sia uno che a fare le riforme ci prova con la grinta necessaria.

Adesso però Renzi deve cominciare a passare al secondo livello: cioè non basta far approvare le leggi che rendono possibili le riforme. Si tratta di far toccare con mano al paese ed ai nostri partner internazionali che le riforme entrano in vigore e cambiano le cose. Un’operazione che richiede tempo, esattamente il bene che scarseggia a Renzi e alla sua equipe. Per questo i frenatori pensano di avere buone chance nel buttarlo giù.

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