I premiati a Venezia

Per questa Mostra il direttore, Alberto Barbera, voleva un programma impegnativo, di un cinema che rappresentasse la realtà. Questo è puntualmente e tragicamente avvenuto: il genocidio armeno del film “The Cut” di Fatih Akin, le spietate testimonianze sul genocidio in Indonesia in “The Look of Silence” di Oppenheimer, lo sguardo senz’anima sull'Olocausto di “Tsili” di Amos Gitai, e ancora la condanna dell'eliminazione selvaggia dei partigiani algerini ispirato a un racconto di Camus, in “Loin des hommes” di Oelhoffen, per stare sul fronte storico-politico… Se si passa a quello socio-economico, arriva la denuncia di “99 hommes” di Ramin Bahrani, sul risvolto umano e familiare della crisi immobiliare negli Stati Uniti.

In generale il livello culturale dei film è stato medio alto, e la Giuria deve essersi trovata in imbarazzo ad escludere opere di notevole qualità artistica.

Dal punto di vista organizzativo, il presidente della Biennale ha offerto un dato confortante: gli accrediti ammontano a 6930 di cui 2300 riguardano i giornalisti. La rinnovata sala Darsena ha fatto centro con una media di 950 spettatori a proiezione per i film sperimentali della sezione “Orizzonti”, la più innovativa della Mostra. La temuta concorrenza di festival contemporanei come Telluride e Toronto è archiviata. «Il Lido sarà anche deserto al di là del polo cinema – ha detto Paolo Baratta – ma la Mostra di Venezia dimostra di aver ancora un ruolo di promozione molto forte a livello internazionale, per innovazione e sperimentazione»

Quanto ai premi, il Leone d’oro è stato assegnato a “Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza” di Roy Andersson, regista svedese noto per i super premiati documentari che si è presentato a Venezia con il suo primo lungometraggio, un apologo esistenziale dall'umorismo surreale, che ammicca a Kirkegaard. La scelta è stata accolta con una certa perplessità per la non facile lettura del film. Si credeva che il premio spettasse a “Le notti bianche di un postino” di Andrej Konchalovskij, che invece ha dovuto accontentarsi del Leone d’argento. Il film è uno dei lavori più lirici del regista russo: ambientato in una piccolissima comunità isolata su di un'isola lacustre nell'estremo nord della Russia, dipinge un microcosmo di caratteri umani in relazione con un paesaggio sulla cui bellezza si sofferma spesso la macchina da presa.

Il Gran Premio della Giuria è andato giustamente al regista di “The Look of Silence”, di Joshua Oppenheimer. E’ inevitabile citare Hannah Harendt e la banalità del male di fronte a un’opera che riesamina la strage di due milioni di persone durante la dittatura di Suharto in Indonesia (1989): un vecchio aguzzino stremato dalla malattia e dai dolori fisici racconta con orgoglio gli omicidi di uomini sospettati di appartenere alle file dei comunisti. Il linguaggio asciutto e dolente del film, i lunghi piani-sequenza del volto di una madre privata del figlio, parlano in maniera più forte di ogni voce gridata.

Le due Coppe Volpi, maschile e femminile, sono andate ai protagonisti di uno stesso film, “Hungry Hearts” di Saverio Costanzo: Alba Rohrwacher e Adam Driver. Il film mette a fuoco l’amore confuso e spinto alle estreme conseguenze di una madre che, per attenersi alle pratiche vegane, non nutre il suo bimbo come dovrebbe e rischia di farlo morire. La Rohrwacher rende con intensità amore e assenza di giudizio, Driver conferma il suo talento e incontra la simpatia del pubblico per la delicatezza con cui accosta la moglie anche nei momenti di scontro.

Il Premio Marcello Mastroianni è stato conferito al giovanissimo Romain Paul, spontaneo e commovente protagonista del film di Alix Delaporte, “Le dernier coup de marteau”, racconto di formazione che indaga con occhio paterno la crescita problematica di un ragazzo, complice la Sesta Sinfonia di Mahler diretta dal padre ritrovato e una squadra di calcio cui il ragazzo ambisce.

Il Premio Speciale della Giuria è stato attribuito a “Sivas” di Kaan Mujdeci (Turchia), che descrive con gli occhi di un ragazzo, una Turchia periferica, maschilista e violenta.

Nella sezione “Orizzonti” è stato premiato “Court” del regista indiano Chaitanya, specchio di una società legata a moduli che frenano uno sviluppo di mentalità ed economia aggiornate. Tuttavia colpisce l’atmosfera di delicati e signorili contatti con l’autorità e fra la gente comune.

Dimenticati dalla Giuria gli italiani, in particolare “Il giovane favoloso” di Martone e “Anime nere” di Munzi, accolti entrambi con ammirazione e entusiasmo da pubblico e critica internazionale.

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