Curdi, fierezza e dignità di un popolo disperso

Nel clima di disfatta dell’esercito regolare iracheno di fronte all’avanzata delle milizie fondamentaliste dell’Isis e prima dell’intervento diretto dei bombardamenti degli aerei americani, le sole forze militari che sono riuscite a contrastare gli islamisti più fanatici sono stati i curdi iracheni, i peshmerga. Soldati a cui il governo italiano si appresta a consegnare armi dopo una risoluzione delle Commissioni parlamentari preposte.

Un testo per capire la storia e l’attualità della questione curda, la fierezza di questo popolo disperso, la dignità della loro storia e cultura, è stato scritto da Sandrine Alexie (Kawa il Kurdo, alle origini di un popolo negato, Pentagora, 2014, 16,00 euro). Se da un lato delinea le figure fondamentali della storia e della mitologia curda, dall’altro mostra qual è oggi la dislocazione geopolitica di questo popolo attualmente disperso e diviso dentro i confini di Turchia, Iran, Iraq, Siria e Armenia. Tenendo presente che circa 1 milione e mezzo di curdi vivono ormai stabilmente nella diaspora in Europa. Un popolo segmentato che però nei diversi contesti nazionali dove è sempre stato bistrattato e oppresso ha dimostrato un’estrema dignità e fierezza pur in mezzo alle discriminazioni che hanno prodotto immensi lutti e sofferenze.

Il libro narra la leggenda del fabbro Kawa e del re Zohak, tra i miti fondanti del popolo kurdo, il popolo delle montagne, avvezzo a una vita ridotta all’osso con pochissimi mezzi e strumenti a disposizione ma dove la cultura e la trasmissione del sapere e delle tradizioni è stata tenacemente preservata e tramandata tra le generazioni.

I curdi sono stati sterminati col gas nervino in Iraq da Saddam Hussein; sono stati perseguitati per anni in Siria dalla famiglia dispotica e tirannica degli Assad; discriminati in Iran perché renitenti ad essere assimilati al credo fondamentalista degli sciiti. Un capitolo a parte riguarda i curdi in Turchia, perché è qui che il Pkk, il partito di Abdullah Ocalan – pur isolato nelle galere inaccessibili di Imrali – già da tempo ha intrecciato un dialogo col governo del premier turco Erdogan per giungere ad una pace definitiva col relativo riconoscimento di un’autonomia per la minoranza curda dentro il territorio turco. E’ in questa occasione che Ocalan ha dimostrato una visione lungimirante della politica che sa rinunciare a visuali miopi e ristrette come si era rivelata la lotta armata per giungere a un compromesso che non lede le legittime aspettative di un popolo finora negletto e sfruttato. E risultano molto belle le parole programmatiche che Ocalan ha riguardo al ruolo della donna che “è stata letteralmente cancellata dalla società e deve riprendere il posto sociale in condizione di rispetto, uguaglianza e libertà”. Parole per niente scontate in quei contesti storici e geografici – innovative, “realiste” perché da sempre anche a quelle latitudini la donna è il pilastro quotidiano, misconosciuto, negletto ma insostituibile del tessuto familiare e sociale.

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