“Attenti alle parole dell’odio”

Intervista a padre Samir Khalil Samir, docente al Pontificio Istituto Orientale di Roma. Gli imam si devono preparare in Europa, sostiene il gesuita, profondo conoscitore dell’islam

“Gli imam che giungono in Europa in genere non conoscono la nostra cultura e le nostre lingue, tendono ad imporre la loro mentalità fondamentalista, cercando di recuperare musulmani che si sono allontanati dalla religione o di convertire europei in crisi di fede, che sono in ricerca”. Abbiamo raggiunto telefonicamente in Libano padre Samir Khalil Samir, teologo ed islamista gesuita, docente al Pontificio Istituto Orientale di Roma, per cercare di capire – dopo la nascita dell'autoproclamato califfato in Siria ed Iraq – che tipo di relazioni i cittadini europei dovrebbero cercare di intessere con gli immigrati musulmani, in special modo arabi, per una costruttiva convivenza. “Questi imam si formano in Arabia Saudita o all'università di al-Azhar in Egitto, dove si trovano le due grandi scuole sunnite che preparano gli imam e li inviano all'estero talvolta anche con un piccolo salario”. Per il padre gesuita, nota firma del quotidiano Avvenire e di AsiaNews, agenzia di informazione del Pime, è importante non fare automatici parallelismi tra islam e cristianesimo. Il primo infatti non distingue tra religione, società, stato, politica, tradizioni, e gli imam danno consigli e direttive su ogni aspetto della vita quotidiana, basandosi sulla loro visione fondamentalista della realtà. “E' un dramma – sostiene – perché così non aiutano i fedeli musulmani ad inculturarsi nel paese che li ospita”. Per quanto riguarda ad esempio lo stato islamico in Iraq e in Siria o in altre zone di guerra, sono gli stessi imam, come sottolinea padre Samir, ad impartire le direttive di uccidere o meno, di sgozzare o meno quelli che ritengono infedeli. Non bisogna dunque confondere l'imam con il sacerdote, né la moschea con la chiesa, perché nella prima non si va solo per pregare. I sermoni degli imam, afferma ancora padre Samir, non hanno solo carattere religioso, ma anche politico e vengono tenuti in arabo, paradossalmente a danno anche degli stessi immigrati musulmani. Padre Samir ricorda quando in Francia dovette occuparsi di alcuni giovani musulmani di seconda generazione che non parlavano la lingua d'origine. “Ero io – aggiunge – che dovevo spiegare loro il testo coranico in arabo”. Uno di loro, andato in crisi dopo la perdita del lavoro, venne accompagnato dagli amici in moschea, e qui l'imam non parlava in francese ma in arabo. Per il gesuita, gli “stati europei dovrebbero accordarsi per un necessario controllo”.

In Egitto, paese natale di padre Samir, il governo controlla tutte le moschee dove operano predicatori fondamentalisti, inserendo microfoni, avvalendosi di un particolare organo di polizia, o facendosi consegnare anticipatamente il testo scritto delle prediche. Per il sacerdote egiziano non si tratta di limitare la libertà di determinate categorie, ma di evitare che un sermone sconfini nel politico e nell'incitazione al terrorismo, cosa contraria alle nostre legislazioni.

“Bisogna aiutare i venti milioni di musulmani che vivono in Europa ad essere musulmanImmagine1i europei, come arrivarci non è facile”, dichiara senza illusioni il docente. La preghiera può benissimo essere svolta in arabo, come noi una volta pregavamo in latino, ma per il resto padre Samir non vede perché non si debbano parlare le lingue del posto. E' un argomento “fallace”, a suo dire, quello avanzato dai musulmani arabi che sostengono che non si possa conoscere veramente il corano se non si parla arabo: infatti solo il 15% dei musulmani nel mondo è di lingua araba; inoltre il testo è scritto in arabo classico, lingua antica che oggi non parla più nessuno. Il fatto infine che di fronte a violenze inaudite non scendano numerosi in piazza per protestare, per padre Samir, è una “malattia” psicologica. “Dobbiamo aiutarli – dice – a fare autocritica, infatti manifestano a migliaia contro l'occidente, mentre solo in privato vi diranno che i terroristi non sono musulmani”. Eppure il corano “talvolta autorizza la guerra contro i miscredenti”, allora “con delicatezza e amore è necessario far vedere loro questo aspetto per aiutarli nella maturazione”.

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