Se accogli, ti arricchisci

Don Luigi Ciotti e Mariapia Veladiano nella Settimana del CNCA: “Impegnandoci per gli altri, miglioriamo anche noi stessi”

“Tre ragazzini siriani che arrivano in classe a gennaio non possono essere considerati un'emergenza. La nostra scuola deve essere attrezzata come di fronte ad un evento ordinario, sempre più frequente, perché essa è il luogo-mondo in cui l'accoglienza si sperimenta e si realizza”.

Parla da dirigente scolastica, Mariapia Veladiano, una delle scrittrici italiane oggi più lette ed ascoltate. Parla da insegnante che vede nella scuola uno degli ambienti decisivi per coltivare una cultura dell'accoglienza, da non confondere però con il modello della separatezza: quello per cui ognuno se ne deve stare “libero” nel proprio recinto, a coltivare un'identità unica che finisce – come diceva il Nobel indiano Amartya Sen – per crearsi automaticamente dei nemici e sfociare quindi in un conflitto. Basta pensare – esemplifica Veladiano – ai Centri di primo soccorso che contengono nelle sigle la parola accoglienza (CPSA, CARA), ma in verità si rivelano gabbie destinate a scoppiare.

Non può esserci conoscenza e convivenza, se c'è separatezza, secondo l'autrice de La vita accanto. “Ma certo, prima che all'integrazione, dobbiamo puntare all'interazione, alla prossimità reale”, rimarca il “prete di strada” don Luigi Ciotti, in piena sintonia con la preside, nell'avvincente “Dialogo sull'accoglienza” che ha strappato mille applausi in oltre due ore lunedì sera alla sala della Cooperazione. Trecento persone all'evento più atteso della Settimana voluta dal CNCA regionale “per allargare la nostra rete sul territorio”, come hanno sottolineato Sandra Venturelli e Cinzia Brentari, e che ha mostrato la possibilità, per dirla con il presidente nazionale CNCA don Armando Zappolini, di un'Italia “che ancora esiste e resiste”.

“L'individualismo si succhia insieme al latte materno, non ce ne liberiamo più”, osserva Veladiano accennando ai modelli rampanti istillati in famiglia o all'isolamento “concepito” dagli urbanisti che progettano le nostre città: “Penso a certe moderne piazze che non hanno spazi comuni per incontrarsi realmente, come un tempo avveniva al mercato. Oggi invece le piazze restano vuote…”.

Veladiano invita a “coltivare ostinatamente la fiducia nel pensiero”, a puntare sull'economia del bene comune, in un processo partecipativo “dal basso”, al quale ognuno è chiamato a fare la propria parte. “Non possiamo salvare il mondo, è difficile bloccare movimenti epocali, ma questo tempo ci chiede un'umiltà vigile, fattiva, senza lasciarsi andare al vittimismo e senza cedere alla paura”.

“Quello che ogni giorno riusciamo a fare nel nostro piccolo – conclude Mariapia Veladiano – non è poco per chi ci incontra, e nemmeno per noi. Per chi crede poi c'è questa fede benedetta che sa moltiplicare i pani e i pesci…”“Non contano i singoli, è il noi che vince”, esordisce don Luigi Ciotti, 70 anni freschi, e addosso la grinta di sempre. Subito ricorda don Dante Clauser (vedi sotto), David Maria Turoldo e il bolzanino don Giancarlo Bertagnolli, pionieri delle prime riunioni del CNCA negli anni Settanta. Ciotti snocciola via via alcuni dati preoccupanti del nostro Paese che “non ha ancora finito il processo di liberazione” e conta ancora 4 milioni di persone in povertà assoluta. “Due milioni sono sparite in un anno, ma quando abbiamo chiesto come mai, ci hanno risposto che sono soltanto cambiati i parametri…”.

Ciotti riconosce la malattia dell'individualismo, tuona contro “l'economia assassina piegata alle logiche della finanza” (parole di Papa Francesco), rilancia l'impegno per salute, scuola e lavoro che sono i diritti sociali, quelli che abilitano a esercitare anche gli altri diritti”.

Sabato è la giornata mondiale contro la povertà nel mondo, a Trento si veglierà nella notte dei senza dimora. “Non basta che i diritti restino nelle Carte, ma devono diventare carne, ingrediente della nostra vita. Anche perchè tutelando i diritti dell'altro, difendiamo anche i nostri diritti”. Da qui la conclusione, ancora al plurale: “La nostra speranza sta nel dare speranza a chi l'ha perduta”.

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