Il Giusto di Sarentino

Lo storico: “Ha cambiato più lui le cose, che tutti noi messi insieme, con i nostri libri e discorsi”

San Martino (Sarentino) – “Ha cambiato più lui le cose, che tutti noi messi insieme, con i nostri bei libri e i grandi discorsi”. Lo ammette lo storico altoatesino Leopold Steurer all’indomani della scomparsa di Franz Thaler. Il “Giusto di Sarentino”, uno degli ultimi testimoni sudtirolesi della resistenza alle dittature che hanno insanguinato il 20° secolo, si è spento giovedì 29 ottobre all’età di 90 anni.

Troppo piccola la chiesa di San Martino, il villaggio della famiglia Thaler, in fondo alla valle, per contenere tutti coloro che sabato scorso, nel primo pomeriggio, hanno voluto accompagnare Franz per un piccolo tratto di strada, l’ultimo, consegnandolo alla memoria di una terra che lo ha vissuto, a lungo, come pietra d’inciampo, come segno di contraddizione. Il paese c’era tutto, ora, raccolto e commosso, in una limpida giornata d’autunno. Un autunno molto diverso da quello del 1944, quando a metà dicembre Franz Thaler transitò tremante sotto la scritta “Arbeit macht frei” che campeggia all’ingresso del campo di concentramento di Dachau.

Chiamato alle armi al servizio di Hitler, era fuggito in montagna, avendo “avuto notizia – scrisse – delle infinite atrocità commesse dal regime nazionalsocialista”. Si consegnò qualche mese dopo, per evitare che i famigliari venissero presi in ostaggio, come previsto da un proclama del Gauleiter. Fu condannato a dieci anni di lavori forzati, internato a Dachau e poi nel lager di Hersbruck. Dopo la Liberazione, passò alcuni mesi in un campo di prigionia francese e poté rivedere la sua val Sarentino solo il 15 agosto 1945.

La scorsa estate, nel settantesimo del suo rientro ferragostano, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha onorato Franz e il suo contributo alla memoria collettiva: “La sua terribile esperienza umana vissuta come deportato per non aver aderito alla richiesta di arruolamento nelle file dell’esercito nazista durante il periodo dell’occupazione, rivive ancor oggi nelle struggenti immagini raccolte nel suo libro, autentica testimonianza del dramma vissuto intimamente tra difficoltà, stenti, emarginazioni e disprezzo da parte di una società lacerata dalle contraddizioni e miope al rifiuto dell’obbedienza alla dittatura”. Il libro in cui Thaler racconta la sua vicenda porta il titolo “Dimenticare mai” (ed. Raetia). “Ho perdonato, ma non ho dimenticato. Non voglio dimenticare”, ripeteva l’artigiano sarentinese.

Don Balthasar Schrott, all’omelia, sabato scorso, ha raccontato, con la voce incrinata dalla nostalgia, la sua amicizia con Franz, le sue confidenze, la sua forza e la sua consapevole debolezza, la sua fede: “Non ce l’avrei mai fatta nel lager – diceva – se non mi fossi aggrappato alla corona del rosario”. Il sindaco Franz Locher ha ringraziato il compaesano per aver voluto scrivere pagine sofferte per il bene delle nuove generazioni. “Sei stato un uomo modesto, di grande umiltà, e hai riconosciuto per tempo, ciò che altri non hanno riconosciuto o non hanno voluto riconoscere”, ha detto il presidente della Provincia Arno Kompatscher. Parole rimaste nell’aria, circondate dai colori dell’autunno altoatesino.

A chiudere i versi di Dietrich Bonhoeffer (“Von guten Mächten…”, “circondati da silenziose forze buone…”), cantati a fatica, perché un nodo soffocava le voci.

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