Due culture, uno spartito

Dalla Bolivia la testimonianza del gesuita padre Fabio Garbari sull’esperienza della Rete di solidarietà indigena a San Ignazio de Mojos, nell’Amazzonia boliviana

Dall’altopiano andino a 4.000 metri di quota, immerso nella cultura aymara, alla regione del Chaco, nell’Amazzonia boliviana, in quella che era un’antica riduzione gesuitica (“reducciones”): il gesuita padre Fabio Garbari, in Bolivia da 27 anni, racconta la nuova esperienza della Rete di solidarietà indigena a San Ignazio de Mojos, di cui è parroco dal 2013, in una testimonianza inviata all’associazione Amici di Villa S. Ignazio e pubblicata su “Fractio Panis”, rivista della Fondazione Villa Sant’Ignazio.

Nell’ultimo consiglio pastorale diocesano del Vicariato del Beni, una laica commentava: “Dal carattere della nostra gente si capisce che qui i missionari arrivarono con la Bibbia e non con la spada come nel resto del paese”. Dopo 24 anni passati nel mondo aymara dell’altopiano e due nel mondo guaranì nella regione del Chaco, ne completo due nel mondo trinitario-ignaziano nel Vicariato del Beni. La mia esperienza mi permette di sostenere completamente questa affermazione.

Il Beni rappresenta oggi quella regione amazzonica che le cronache dei Gesuiti alto-peruviani degli inizi del 1700 chiamavano “Missione di Mojos”, parte delle note “Riduzioni gesuitiche”. Visitando le comunità della Provincia Mojos, scopro in ciascuna di queste come il mondo indigeno originario ha fatto proprio l’annuncio solidale e liberatore del Vangelo e lo ha, a sua volta, espresso attraverso gli elementi culturali propri mescolati con altri tratti dalla cultura dei gesuiti.

I miti fondanti del popolo di San Ignazio de Mojos (sede di una delle quattro parrocchie affidate alla Compagnia di Gesù e che rappresentano l’organizzazione ecclesiastica della Provincia Mojos) intrecciano la figura di Sant’Ignazio e Santiago con le figure mitiche preispaniche, con una semplicità degna dei maggiori racconti di fate. Le danze e le musiche originarie ignaziane e trinitarie possiedono elementi di entrambe le culture armonicamente congiunte.

Nel 2014 si sono compiuti i trent’anni del ritorno in questa regione della Compagnia di Gesù, che ha assunto la cura pastorale delle parrocchie di Mojos, dopo un’assenza gesuitica di 217 anni. Soltanto negli ultimi 67 anni prima del ritorno della Compagnia a Mojos, la presenza francescana, attraverso la creazione del Vicariato Apostolico del Beni, ha cercato di riscattare i valori missionari gesuiti.

E’ stupefacente vedere come dall’espulsione e per la durata di 150 anni, la cultura ignaziano-trinitaria, nata alla luce dell’evangelizzazione portata avanti dai gesuiti, si sia mantenuta “contro venti e maree”, contando solo sulle proprie forze, dopo appena 82 anni dalla fondazione della prima missione in quel territorio (la Missione di Loreto nel 1892). Prima di questa prima missione ci furono 17 anni di pazienti tentativi dei gesuiti per entrare in quella zona: fu la tenacia di tre gesuiti (Marbán, Barace e Del Castillo) che vissero anni nella foresta, senza strumenti di comunicazione, confidando solo nella fede in Dio e nella gente indigena, della quale con pazienza appresero lingua e usanze, come uniche garanzie di sopravvivenza. Alla fine si contavano in Mojos 17 missioni con 35.000 abitanti e 34 gesuiti.

Se non vado errato, Mojos è l’unico luogo dove la Compagnia è tornata oggi in una delle missioni gesuitiche fondate alla fine del 1600 dai nostri predecessori. Viviamo questo fatto come un grande privilegio e una responsabilità. L’eredità pastorale, artistica, liturgica, folkloristica, musicale rimane viva tra la gente come qualcosa di grandioso che supera le nostre capacità.

Anche oggi siamo tre gesuiti a vivere in questa missione, e aspiriamo alla fede e al temperamento dei nostri predecessori. Portiamo avanti un collegio appartenente alla rete di “Fe y Alegria”, un convitto con appoggio scolastico per studenti di scuola secondaria e il museo di Mojos con l’archivio degli spartiti musicali recuperati dagli attuali musicisti indigeni. Dalla Parrocchia sono nati anche la prima postazione sanitaria, una mensa popolare, un istituto tecnologico di educazione superiore che sta passando attualmente alla gestione dell’amministrazione pubblica. La Scuola indigena di musica, nata dalla Parrocchia seguendo il sogno di ritornare alla spiritualità musicale di un tempo, si è trasformata in un Istituto superiore di musica e turismo che promuove l’educazione musicale dei giovani.

La Parrocchia ha promosso e portato avanti anche la ricostruzione dell’antico tempio missionario di San Ignazio, opera che ha contribuito al riconoscimento, da parte dell’Unesco, della festa patronale di Sant’Ignazio come patrimonio culturale dell’umanità.

Quest’anno, per la prima volta, l’Equipe itinerante ha realizzato un viaggio lungo i nostri fiumi, rimanendo affascinata dall’eredità lasciata dai nostri predecessori, che continua a voler offrire il proprio apporto da quest’angolo di Amazzonia boliviana.

La sfida più grande per noi è la pastorale nelle comunità indigene: come fare perché anche oggi la luce del vangelo possa promuovere l’unione e la forza interna delle comunità, difendendole da tanti tentativi di divisione e manipolazione che arrivano dall’esterno? Come fare, oggi, perché il rispetto per la cultura e l’apprezzamento per la casa comune, che queste comunità curano da sempre, si rafforzino e vincano le minacce che arrivano da tutte le parti?

Queste sono le sfide che i gesuiti hanno assunto, oggi, assieme alle comunità indigene guidate dai propri animatori cristiani, cercando di fare in modo che le visite alle comunità, la vita celebrativa comunitaria, le azioni sociali, alla luce della Parola di Dio, aiutino a trovare risposte creative a partire dal proprio sentire.

p. Fabio Garbari sj

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