Rom, i Giobbe d’Albania

Da Lezhe nel nord dell’Albania la testimonianza di fratel Luciano Levri, ispirata alla terza opera di misericordia corporale: “vestire gli ignudi”

Dura, essere minoranza. Ancora più dura esserlo in un Paese, l’Albania, che cerca una sua strada verso lo sviluppo e un maggior benessere, ma dove persistono sacche di povertà estrema. Figurarsi essere minoranza Rom in Albania. La popolazione albanese e quella Rom spesso condividono la stessa povertà e la stessa miseria, ma i rapporti non sono distesi, vi è sospetto reciproco. In questo ambiente opera fratel Luciano Levri, missionario marianista, originario di Fiavè, che per questo suo impegno è diventato cittadino onorario di Lezhe, la città dove ha intrapreso un lungo cammino fatto di progetti, amicizie, relazioni e rispetto. Il fulcro dell’attività di fratel Levri è il Centro Santa Maria di Lezhe, dove ogni giorno, insieme ai suoi educatori, accoglie bambini e ragazzi Rom perché possano ricevere un’educazione e studiare. In occasione di un incontro dei religiosi d'Albania, fratel Levri ha offerto una sua riflessione sul tema dell'Anno della misericordia, soffermandosi sulla terza opera di misericordia corporale: “vestire gli ignudi”, a partire dalla sua esperienza con i Rom.

Generalmente noi diciamo che una persona è nuda quando non ha vestito, è spogliata. C’è una pagina del libro di Giobbe, che ci aiuta a comprendere la complessità di questa opera di misericordia. Ma scelgo una pagina drammatica di vita di una famiglia rom, per spiegare questa opera di misericordia. Una madre rom ha tentato di buttarsi dal ponte del fiume Mat, a Milot, con in braccio la sua bambina più piccola. Per fortuna il marito l’ha fermata in tempo. Nei tre mesi in cui la famiglia aveva abitato a Lezhe, abbiamo cercato di iscrivere le figlie a scuola, ma non è stato possibile: troppo tardi. Venivano però al nostro doposcuola per imparare a leggere e a scrivere. Era difficile parlare con la madre, perchè urlava sempre ed era molto nervosa. L’abbiamo indirizzata a un assistente sociale e al direttore dei servizi sociali di Lezhe, ma senza nessun risultato. Viveva in un tugurio, senza bagno, con il marito sempre ubriaco che picchiava lei e i bambini. Si sentiva povera, abbandonata da tutti e non le importava vivere. Le situazioni di povertà che viveva erano tante, come quelle di Giobbe descritte nella Bibbia. Si sentiva povera e nuda perchè le era stato rubato il futuro, non aveva più speranza. Si sentiva povera e nuda perchè espulsa dalla comunità umana, era rifiutata da tutti. Si sentiva povera e nuda perchè non sapeva più cosa fare, era disperata. Si sentiva povera e nuda perchè era costretta a mendicare, doveva dipendere dagli altri. Si sentiva povera e nuda perchè tutti la prendevano in giro, la giudicavano uno scarto.

E’ nudo non solo chi non ha vestiti, ma soprattutto chi è privato della dignità umana, chi è senza diritti, chi è senza dignità e identità. Credo che tante delle situazioni vissute da questa signora e da Giobbe possano essere applicate a tante famiglie rom. Poche popolazioni nella storia dell’umanità sono state discriminate e perseguitate come i rom. Un popolo che ha molto sofferto, privato della sua dignità e del suo futuro, emarginato dalla comunità umana, disprezzato e giudicato sempre con stereotipi, costretto a chiedere l’elemosina per sopravvivere, non difeso da nessuno.

Il primo a venire incontro a tanta sofferenza è Dio. Lo fa all’inizio della Genesi: “Il Signore Dio fece – ad Adamo ed Eva e a quella signora rom e a Giobbe, aggiungo io – una tunica di pelli e li vestì”. E sono integrati nella loro dignità, i loro limiti sono coperti e protetti da Dio, la loro povertà e la loro sofferenza condivisa da Dio.

E’ da 13 anni che lavoriamo con i bambini e i ragazzi rom, cercando di scolarizzarli e l’esperienza è diventata grande. Sono quasi tutti mussulmani… e sono stato felice che papa Francesco abbia portato in Vaticano 12 mussulmani.

E’ vero, la loro integrazione non è facile e credo che vada costruita partendo dai bambini per arrivare poi alla famiglia. E se volessi trovare alcune chiavi di lettura di questa esperienza con cui abbiamo cercato di dare dignità, diritti, speranza, “tuniche di pelli“, scelgo tre impegni su cui noi abbiamo lavorato molto.

Il primo è la relazione. Sono stati importanti gli aiuti, le adozioni, i progetti, ma più importante di tutto è stata la relazione fra noi e loro. Ci siamo sforzati di renderla paritaria (ma non so se ci siamo riusciti). Abbiamo cercato di condividere la loro vita, abbiamo visto le loro sofferenze, ascoltato le loro storie e questo ci ha aiutato a voler bene uno a uno, a chiamarli per nome. Nel vocabolario di Dio non esistono nomi collettivi (“i rom”, “gli zingari”); per Lui esistono Entela, Shpresa, Qabir, Sonila, Suada, Gheri, Ilir. Lui ha una lacrima e una carezza per ognuno. Chi ci vive accanto è un volto da scoprire, da contemplare, da guardare, da rispettare. Servono occhi misericordiosi per cogliere le nudità che Cristo ci domanda di rivestire e la misericordia richiede di conoscersi, di comunicare qualcosa di me all’altro. Non c’è misericordia se non c’è l’incontro di volti.

L’altro aspetto è quello della giustizia. Non c’è giustizia se non c’è il rispetto dei diritti della persona. Dovremmo impegnarci di più, come Chiesa, a difendere i diritti negati ai rom e ai tanti poveri. Noi insistiamo molto sul diritto alla scuola dei bambini rom. Lo Stato albanese ha stanziato 300 lek al mese (2 euro) per ogni bambino rom che la famiglia manda a scuola. Dopo un’assemblea infuocata, le famiglie rom di Lezhe hanno rifiutato il contributo, perchè è sembrato loro un’elemosina. E’ un loro sacrosanto diritto andare a scuola.

I rom hanno anche il diritto alla diversità, alla propria identità. Il bambino rom non era e non è considerato come un bambino portatore di una cultura diversa. Le stesse associazioni rom, presenti sul territorio, riducono l’identità rom a canti e balli.

Raramente ai rom viene data la parola. Sentire la loro voce, il loro punto di vista sulle politiche che vengono prese anche nei loro confronti è quasi impossibile.

Noi sappiamo da quale parte si è messo Dio per vedere e giudicare la storia: dalla parte dei vinti, dei fuori luogo, dei rom, dei clandestini, di chi vive al margine. Anche noi religiosi dovremmo sapere da quali parte metterci per “vedere” il mondo.

A Lezhe sono stati fatti lavori, con un importo superiore ai 20 milioni di euro, che hanno cambiato la città. Piazze, strade, marciapiedi lungo il fiume Drin. Tutto molto bello. E’ vero, ”la bellezza salverà il mondo”. Ma un po’ di euro non potevano essere spesi per rendere la situazione dei rom più vivibile?

Oggi quasi tutte le famiglie rom, dopo tanti anni di lavoro, hanno compreso l’importanza della scuola per i propri figli e hanno capito che un processo di integrazione è possibile, che la scuola e il lavoro sono l’unica possibilità per uscire dall’emarginazione. Ora, a Lezhe, sui banchi di scuola siedono gli alunni “bianchi“ e i figli dei rom. Lì imparano a leggere e a scrivere. Ma anche a conoscersi e a rispettarsi. La scuola forma i cittadini di domani e dà “gambe“ alla democrazia del Paese.

Fratel Luciano Levri

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