Tempo di ciliegie

Il costo iniziale è di 100.000 euro a ettaro. Il ritorno economico è garantito se la qualità corrisponde alle esigenze del mercato

Un frutticoltore di Aldeno interpellato dal curatore di una trasmissione radiofonica “Viaggio attraverso i prodotti agricoli del Trentino “ trasmessa dalla sede RAI di Trento nell’estate del 1974 affermava che con il provento delle ciliegie aveva mantenuto agli studi il figlio, portandolo addirittura alla laurea. All’epoca e per i decenni successivi la vendita delle ciliegie lungo l’asta dell’Adige e in alta Valsugana rappresentava la prima entrata di denaro della stagione. Anche i dintorni di Trento e le campagne a sud e a nord della città ospitavano numerose piante di ciliegio isolate e allevate a pieno vento che per la raccolta richiedevano l’uso di scale di legno a pioli lunghe anche oltre una diecina di metri. L’epoca di raccolta iniziava a fine maggio nel fondovalle e si protraeva fino alla fine di giugno nelle zone in quota. Centri di raccolta gestiti in cooperativa si trovavano a Susà per l’alta Valsugana, alla SAV di Sant’Ilario di Rovereto e a Brancolino per la Vallagarina, ma in altri paesi rimanevano aperti per l’intero periodo locali di conferimento e cernita gestiti da privati spesso incaricati della mansione da commercianti del Veneto. A tarda sera arrivavano i camion che caricavano le ciliegie disposte in cassette di legno e le trasportavano nottetempo fuori provincia per essere pronte per la vendita nei mercati annonari delle città già al mattino seguente.

Varie vicissitudini (piante morte per marciumi radicali conseguenti all’innalzamento della falda freatica, scadimento qualitativo, occupazione di terreni agricoli per fare posto a infrastrutture viarie e strutture industriali o artigianali, espansione della viticoltura e della frutticoltura) hanno determinato la progressiva eliminazione dei ciliegi a partire dall’asta dell’Adige, a sud e a nord di Trento. Lo zoccolo duro della cerasicoltura trentina è rimasto in alta Valsugana, avendo come riferimento prevalente per la parte agronomica e per il conferimento e la vendita del prodotto il magazzino cooperativo di Susà di Pergine Valsugana. Per quasi tre decenni ha svolto un importante ruolo di promotore di innovazione il perito agrario Romano Andreaus, al quale si deve l’introduzione di varietà pregiate appartenenti al gruppo dei Duroni di provenienza italiana ma soprattutto francese e la ricerca di forme di allevamento sostitutive del sistema libero o a pieno vento. Non tutti i tentativi hanno avuto successo, ma il reddito ricavato dalla vendita delle ciliegie ha comunque conservato un importante ruolo di integrazione di quello proveniente dalle mele.

La svolta storica della cerasicoltura trentina iniziò nell’aprile del 1997, quando la Cooperativa Sant’Orsola lanciò il progetto ciliegio, ideato da Ilario Ioriatti, direttore della cooperativa, sulla scorta di esperienze raccolte nel corso di ripetute visite tecniche in zone cerasicole di avanguardia di Germania, Francia e Svizzera. La rivoluzione dei ciliegi si torva descritta a posteriori, cioè a risultati in gran parte raggiunti, in un articolo di Sergio Franchini e Marco Brentegani, tecnici dell’Unità produzioni ortofrutticole della Fondazione Mach pubblicato sul numero di dicembre 2011 di Terra Trentina.

“L’introduzione di portainnesti semi nanizzanti, principalmente Gisela 5, ha rivoluzionato nell’ultimo decennio la cerasicoltura trentina. Quest’innovazione consente una riduzione della taglia delle piante, una più precoce entrata in produzione, maggiori rese per ettaro e una gestione più agevole soprattutto per quanto riguarda la raccolta”. La possibilità di installare una copertura antipioggia consente di evitare la spaccatura dei frutti e procrastinare la raccolta fino al raggiungimento della piena maturazione delle due varietà, Kordia e Regina, distanziate per epoca di una decina di giorni. Il progetto è partito con la messa a dimora di ciliegi su portainnesto nanizzante in sette zone del Trentino: Val di Cembra, Val dei Mocheni, Susà, Cognola, alta e bassa Valsugana. Si trattava di piccoli impianti dimostrativi per una superficie complessiva di circa 1 ettaro. Le varietà provate erano 14, i portainnesti 9. La prospettiva iniziale era di raggiungere i 100 ettari nel giro di 10 anni. Oggi siamo vicino ai 200 ettari, metà dei quali coperti. La nuova cerasicoltura ha allargato il suo areale da quella classica dell’alta e bassa Valsugana ad altre zone del Trentino. In Val di Non dai 500 metri di Denno fino ai 1100 dei Salobbi; nel Bleggio da Sesto a Dasindo, a Balbido; in bassa Valsugana a Castelnuovo, Telve e Spera; in Val d’Adige a diverse quote da Romagnano a Garniga e Castellano; sull’altopiano della Vigolana; in Val dei Mocheni e in altre piccole realtà quali Montevaccino e Sopramonte; nel Tesino, in Primiero e a Brentonico. Il costo iniziale di un nuovo impianto è di 100.000 euro a ettaro, ma il ritorno economico è garantito, se la qualità dei frutti corrisponde alle esigenze del mercato.

Come ogni medaglia anche la cerasicoltura ha il suo rovescio rappresentato soprattutto dalla Drosophila suzukii, moscerino delle ciliegie arrivato dal Giappone e trovato per la prima volta in Trentino nella stagione 2009.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina