In cerca di riscatto

Uno sguardo alla complessa situazione politica e sociale brasiliana. Dopo l’impeachment della Presidente Rousseff, aumentano i timori per la fragile democrazia

Qualche mese fa nessuno avrebbe pensato che la crisi brasiliana avrebbe raggiunto il livello di questi giorni, caratterizzati da constanti e consistenti manifestazioni che praticamente abbracciano tutte le città, le capitali, le categorie di persone e particolarmente quelle che, forse fino a giungere all’impeachment della Presidente Dilma Vânia Rousseff, si sono posizionate favorevolmente quanto ad una sua destituzione dalla presidenza della Repubblica e al giuramento come presidente effettivo del signor Michael Temer.

E’ difficile per chi non vive nel paese comprendere la complessa macchina burocratica della politica brasiliana e guardare al di là della semplice crisi politica che in realtà è istituzionale, economica e sociale. Ma quello che è ancor più difficile capire è che quello che molti interpretano come un grave colpo di Stato operato dal parlamento brasiliano con la connivenza del potere giudiziario è un atto che ferisce al cuore la democrazia brasiliana e particolarmente il suo popolo che si ritrova, a pochi decenni dalla fine di una dittatura, immerso in un regime molto più sofisticato e perverso del primo perché legittimato dal latifondo, dalla nuova borghesia e dal fondamentalismo religioso del neopentecostalismo, dove una fede individualista e intimista ignora totalmente la dottrina sociale della Chiesa e ancor più la Chiesa in uscita, misericordiosa e samaritana di Papa Francesco.

Il panorama che si sta delineando più chiaramente in questi giorni è quello di una serie di false riforme e l’approvazione di progetti di legge che ancora una volta privilegeranno e serviranno il mercato, collocando nelle mani di privati il bene pubblico, aumentando le diseguaglianze, il cui risultato sono le ingiustizie, le esclusioni, l´aumento dell’odio, della violenza, del razzismo, della xenofobia. Il suggello – inaugurato dalla Coppa del mondo di calcio e confermato dalle Olimpiadi e dalle Paralimpiadi – è il fantasma della legge antiterrorismo che consente alle forze di polizia di sospettare di qualsiasi persona e di considerarla un terrorista solamente per la sua maniera di vestirsi, le sue abitudini, i suoi comportamenti. L’arresto di ventun giovani poco prima dell’inizio delle manifestazioni seguite alla destituzione della presidente Dilma, e la loro liberazione nei giorni seguenti, sono l’espressione chiara di questo clima di guerra ai fantasmi che porterà verso uno Stato fortemente militarizzato e dittatoriale.

A completare questo quadro complesso della realtà sociale brasiliana vi è la situazione del parlamento, con cui il governo dovrà fare i conti, scendendo a compromessi per poter governare, facilitando la strada delle privatizzazioni senza però risolvere la crisi economica il cui prezzo ancora una volta sarà pagato dalla classe operaia e dalla popolazione umile, povera, esclusa.

Pochi giorni or sono, il 7 settembre, la nazione brasiliana ha celebrato un nuovo anniversario della sua indipendenza. La festa della patria per le istituzioni è uno sfoggio di un falso nazionalismo, legato alle anacronistiche e vuote parate militari. Per i movimenti e le pastorali sociali, invece, da ormai 22 anni è divenuto il giorno in cui esprimere il grido degli ultimi, degli esclusi e delle escluse, e occasione di denuncia di tutte le violazioni contro la vita. Quest’anno lo slogan sono state le parole pronunciate da Papa Francesco nell’incontro con i movimenti sociali in Bolivia, dove ha affermato che l’attuale sistema economico è insopportabile, esclude, schiavizza ed uccide. Come realtà concreta è stato scelto il grido dei sopravvissuti alla marea di fango e di detriti chimici della grande catastrofe causata dalla rottura della diga del Fundão, che in pochi minuti ha cancellato il distretto di Bento Rodrigues, nello stato di Minas Gerais, spingendosi fino agli stati di Spirito Santo e Baia e cancellando per sempre la vita ed i sogni di intere popolazioni e famiglie, inquinando l’ambiente e seminando morte e distruzione. A dieci mesi da quella tragedia, la popolazione è ancora abbandonata a se stessa, senza indennizzo alcuno né da parte dello Stato né da parte dell’impresa San Marco, i cui proprietari sono le multinazionali Vale e BHP Billinton.

In conclusione, cosa si aspetta il popolo brasiliano dagli eventi e dalla realtà che sta vivendo? Tutti sanno che non vi sono risposte pronte, vi è solo la coscienza, e questo lo esprimono le masse che invadono con grandi manifestazioni le strade delle città. Si sente la necessità di una piccola rivoluzione che può giungere solamente dal basso, da un popolo che attraverso i suoi movimenti costruisce un altro modello di società, un altro mondo possibile; in questo i popoli indigeni con le loro culture e tradizioni millenarie sono maestri. Il beato Papa Paolo VI denunciò profeticamente cinquant’anni or sono questa cultura economica dello sciacallaggio nell’enciclica Populorum Progressio, e propose al mondo la civilizzazione dell’amore: è un sogno oggi ancora lontano, ma non impossibile.

Gianfranco Graziola*

* vice coordinatore nazionale della Pastorale Carceraria della Conferenza Episcopale Brasiliana

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