Venezia, gli ebrei e l’Europa

Nei primi decenni del XVI secolo la Repubblica Veneta aveva messo in atto una strategia urbana inclusiva, di accoglienza e contemporaneamente di controllo e sorveglianza, nei confronti anche di comunità nazionali e religiose “diverse” ma assai importanti per le proprie attività economiche. Così i tedeschi che, anche se luterani, gestivano fiorenti attività nel loro Fondaco, i greci ortodossi, ai quali fu concesso di costruire a loro spese una chiesa e un collegio, e via via gli albanesi, i persiani, i turchi. Gli ebrei, al pari d’altre minoranze, erano preziosi per la Serenissima, le sue magistrature ne erano perfettamente consapevoli. Anche quando l’Europa stava perseguendo gli ebrei (i fattacci di Adreas a Rinn, di Simonino a Trento e di Lorenzino a Marostica sono del 1462, 1475 e 1485) e li stava cacciando (ben noti i decreti d’espulsione dalla Spagna, 1492, e dal Portogallo, 1496) Venezia al contrario concesse loro di entrare in città come rifugiati. Il 29 marzo 1516 il Senato veneziano decretò che tutti “li giudei debbano abitar unidi” in una zona recintata e sorvegliata della città: nasceva il primo ghetto ebraico. La scelta di non cacciare gli ebrei ma di mantenerli dentro il ghetto fu vissuta come il male minore e la chiusura, una palese discriminazione, finì per trasformarsi anche in un’utile difesa, perché gli ebrei, soggetto politicamente debole all’esterno delle mura, diventarono all’interno autonomi, quasi padroni delle loro azioni, in molti casi ben più di tanti abitanti e sudditi che vivevano alla completa mercé del doge, del principe, del papa o del re.

Nel 2016, dunque, il Ghetto di Venezia compie cinquecento anni – mezzo millennio di storia densa di ostacoli, di straordinari personaggi e di architetture riconoscibilissime.

La mostra “Venezia, gli ebrei e l’Europa 1516–2016” intende dare conto della storia del Ghetto di Venezia, della sua crescita, della sua architettura, della società dei mestieri, della vita materiale e delle relazioni tra la minoranza ebraica (così discriminata e difesa) e l’intera città in un contesto di rapporti con altri insediamenti ebraici in Europa e nel bacino mediterraneo. In particolare, ma non solo, fino all’avvento di Napoleone e alla caduta della Repubblica, che determinarono la apertura del ghetto, arrivando ad indagare anche il ruolo degli ebrei nell’età dell’assimilazione e nel corso del Novecento. Importanti dipinti – da Bellini e Carpaccio, a Balla, Hayez, Wildt e Chagall – disegni architettonici d’epoca, volumi in rarissime edizioni originali, documenti d’archivio, oggetti liturgici e arredi, oltre a diverse ricostruzioni multimediali, permettono di dar conto di una vicenda di lungo periodo, fatta anche di permeabilità, di relazioni e scambi culturali. L’intento (conseguito) è illustrare le diversità culturali esistenti nella Venezia cosmopolita d’inizio Cinquecento e della commistione di saperi, conoscenze, abitudini che ne costituiscono tuttora il principale patrimonio.

La mostra è a Venezia, Palazzo Ducale, Appartamento del Doge, e rimane aperta fino al 13 novembre, tutti i giorni dalle 8.30 alle 19 (a novembre fino alle 17.30). Informazioni: tel. 041/2715911, info@fmcvenezia.it.

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