Dall’Africa alle Dolomiti

Duccio Cavalieri chiarisce modalità e aspetti pratici dell’indagine

“La Fondazione Mach è un gioiello. Da quando sono presidente di questo Ente, ho ripetuto più volte questa definizione, pur nella complessità della gestione e dell’organizzazione delle diverse realtà che la costituiscono. Ora ho un ulteriore occasione per ribadirlo. L’agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) ha classificato FEM in posizione di assoluta eccellenza”.

E’ l’incipit dell’articolo di fondo di IASMA NOTIZIE marzo 2017 firmato da Andrea Segré.

Sulla stessa rivista c’è una sintesi del REPORT 2015/2016 del Centro ricerca e innovazione (CRI): più di 400 articoli pubblicati su riviste con fattore d’impatto che testimoniano l’attività di ricerca svolta nel biennio dalle circa 200 persone che fanno parte dell’organico, di cui un quarto di nazionalità estera.

Un comunicato diffuso nei giorni scorsi dalla Fondazione Mach (“Comunità microbiche Sahariane sulle Alpi”) informa che la prestigiosa rivista MICROBIOME ha pubblicato i risultati di una indagine biennale condotta da un team multidisciplinare di ricercatori della FEM e di altri istituti italiani e internazionali.

Il gruppo composto da specialisti dotati di competenze diverse, ma complementari, ha studiato la carica microbica di uno tra i più intensi eventi di trasporto di polveri sahariane che ha raggiunto le Alpi nel 2014.

Essi hanno dimostrato che le grandi tempeste di polvere possono muovere non solo frazioni, ma intere comunità microbiche (batteri e funghi) dalle aree sahariane all’Europa e che questo microbiota (insieme di microrganismi) contiene molti microbi estremamente resistenti e in grado di sopravvivere in ambienti diversi. La lettura del comunicato ci ha suggerito l’opportunità di conoscere più in dettaglio le modalità e gli aspetti pratici della ricerca.

Siamo infatti convinti che messaggi del tipo sopra riportato possono determinare il rifiuto della scienza (scientismo) se il rapporto non è seguito da una adeguata comunicazione dei metodi e dei risultati.

Riferiamo di seguito quanto ci ha raccontato Duccio Cavalieri uno dei tre coordinatori della ricerca.

L’idea è nata mentre salivo con la funivia lungo le piste da scii della Panarotta. Era la fine di gennaio del 2014. I primi sopraluoghi con raccolta di campioni di materiale congelato si sono svolti fra il 14 e il 17 febbraio. Non solo in Panarotta, ma anche in siti innevati più alti, quali Latemar e Marmolada, per evitare, grazie all’altitudine più elevata, l’inquinamento da materiale estraneo. I reperti sono stati sottoposti a duplice analisi: del DNA, dei microrganismi presenti nel campione e delle cellule sopravissute anche dopo lo scioglimento della neve. Le ricerche sono state infatti ripetute negli stessi siti anche in estate. Grazie alle tecniche di avanguardia e agli strumenti adatti ad indagini di tipo molecolare messi a disposizione dalla pluralità di attori coinvolti nella ricerca, l’individuazione sistematica di batteri e funghi è stata fatta sulle tracce del DNA, senza ricorrere alla replicazione delle cellule su substrato nutritivo.

C’erano entità microbiche in grado di arrecare danno all’uomo o alle piante?

Non sono stati trovati microrganismi sicuramente patogeni di tipo conosciuto. Il sequenziamento del DNA ha consentito una identificazione per ora limitata al genere. Ulteriori studi potrebbero consentire di arrivare alla definizione dei ceppi.

E’ più probabile che dal Sahara e da altri siti lontani arrivino microrganismi utili, apportatori di biodiversità nei nostri terreni.

Sarebbe comunque opportuno installare stazioni di monitoraggio nella previsione che a seguito dei cambiamenti cimatici le tempeste di polvere saranno più frequenti ed intense.

La testimonianza di Duccio Cavalieri conferma un’ altra recente affermazione di Andrea Segré: “La ricerca inevitabilmente va in alto, ma può comunque orientare sui driver del territorio”.

Non va però dimenticato che l’attività della Fondazione Edmund Mach poggia anche sul Centro per il trasferimento tecnologico e sul Centro istruzione e formazione. La contemporanea presenza dei tre Centri ha sempre caratterizzato l’Istituto agrario di S. Michele fin dalla fondazione. Alla sicura eccellenza dell’attività svolta dal primo centro fa purtroppo riscontro la delusione che abbiamo raccolto da molti agricoltori trentini che hanno partecipato a ben cinque giornate o incontri di aggiornamento tecnico che il Centro per il trasferimento tecnologico delle FEM ha organizzato nei primi tre mesi di quest’anno. Sono state numerose le prospettive di futuri risultati, ma poche le indicazioni pratiche su temi di grande attualità.

Si pone a nostro avviso il dilemma se dare più spazio alla ricerca o alla sperimentazione di campo. La coesistenza è possibile a patto che si proceda ad una severa selezione di campo e ad una intensificazione dei rapporti tra ricerca e consulenza.

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