L’arma più potente contro la paura

Il terrore del sabato sera ha messo in contatto Londra e Torino alla stessa ora, appena dopo le 10. Sul London Bridge gli attentatori del Daesh hanno falciato 8 morti e 50 feriti, in piazza San Carlo i detonatori dell'allarme sonoro hanno seminato ferite fra i 20 mila in fuga dal maxischermo di Juve-Real Madrid.

Un cortocircuito della stessa paura, ormai globalizzata dopo le folle inermi travolte e sconvolte a Nizza, Berlino, Manchester… Un'insicurezza che ormai ci carichiamo sulle spalle come un fardello scomodo anche nei rari eventi d'euforia collettiva. Lo dimostra paradossalmente proprio il tifo popolare e familiare della finale di Champions League in una piazza (un tempo luogo-simbolo di libertà ed ora possibile prigione transennata), nel quale è bastato un tonfo sospetto per generare ondate di panico potenzialmente letali. Come se la miccia della violenza internazionale attraversasse nascostamente le nostre vite e le nostre piazze: basta davvero poco ad accenderla.

Gli psicologi di massa ci spiegano il giorno dopo l'istintiva e incolpevole reazione del “si salvi chi può”, i sostenitori della responsabilità individuale esaltano quanti sono riusciti a prestare aiuto al piccolo cinese Kelvin, fra i quali il senegalese Mohammed che gli ha protetto la testa dopo essere stato a sua volta salvato da una mano ignota.

In molti si chiedono: davanti al prossimo festoso sabato sera, al prossimo evento comunitario, è bene rinunciare, chiudersi in casa, mostrare bandiera bianca nella guerra mondiale a pezzetti? E dovremo allora annullare ogni raduno giovanile o i viaggi d'istruzione? Militarizzare i sagrati delle basiliche, ridimensionare perfino la prossima adunata degli alpini, guardacaso prevista nel nostro capoluogo di provincia? Come se tutto ormai fosse un potenziale bersaglio, e il sospettato si nascondesse in paese o sotto casa?

Questa risposta pavida farebbe soltanto gli interessi dei mercanti di morte, cecchini accecati dalle ideologie o prezzolati col denaro. Ma ci ruberebbe anche la libertà alla quale siamo strutturalmente vocati.

Va bene “alzare le mani” per collaborare con la polizia – come avvenuto a Parigi martedì 6 giugno nelle navate di Notre Dame – ma questo non vuol dire arrendersi. Le mani restano alzate anche per continuare ad acclamare, a promuovere una causa giusta, ad accompagnare una canzone dal messaggio pacifico e disarmante, com'è accaduto nel coraggioso concerto pop di Ariana Grande nello stadio di Manchester pochi giorni dopo l'attentato.

Per non lasciarci soggiogare dal panico dobbiamo ritrovare fiducia dentro di noi. “Non abbiate timore!” è il messaggio pasquale di cui possiamo essere portatori, affinché la lingua comune della Pentecoste parli di socialità, convivenza, relazioni aperte e accoglienti.

Il “non attentato” di Torino ci ha forse irrigidito, paralizzato. Deve darci invece la consapevolezza che contro la paura – oltre alla prudenza, alla legalità e all'onestà – “la convivialità è un'arma potente”, come ha scritto martedì Marina Terragni su Avvenire, concludendo così il suo corsivo quotidiano: “L'amicizia, l'inclusione, il dialogo, l'ospitalità, l'accoglienza, le belle piazze d'estate con la loro allegria e i loro profumi, la musica, la festa sono armi potenti. E alla fine vincono sempre”.

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