Il carisma della leader

Si può leggere come la storia di “un’istituzione che ha intravisto il carisma e lo ha accompagnato rendendosi a sua volta carismatica” la vicenda che ha portato la Chiesa trentina a promuovere il Movimento dei Focolari, riconosciuto il primo maggio di settant’anni fa come “associazione privata di fedeli di diritto diocesano”. Lo studio dell’archivio personale dell’allora vescovo Carlo de Ferrari (1885 – 1962), colui che approvò l’avvio dei primi focolari, offre un’ampia documentazione ben interpretata dalla storica Lucia Abignente nel volume “Qui c’è il dito di Dio”, Edizioni Città Nuova (vedi VT n.22). Venerdì scorso, alla presenza dell’arcivescovo emerito Bressan e del sindaco Andreatta, è stato ripreso in un affollato dibattito presso l’aula magna della FBK, moderato da Emanuele Curzel, per iniziativa della Società di Studi Trentini di Scienze Storiche. Il discernimento del carisma di Chiara Lubich è stato illuminato da varie prospettive incrociate: lo storico Paolo Marangon ha mostrato come rispetto al mondo cattolico trentino dell’epoca si realizzò un “movimento esterno e dissonante” che impegnò l’Arcivescovo a vincere alle resistenze di certi ambienti trentini e romani, perplessi per la radicale “nudità evangelica” ma anche per la possibile concorrenza con l’Azione Cattolica.

In un approccio sociologico, Ilaria Pedrini ha evidenziato fra l'altro come la stessa Chiara pur suscitando un fascino spirituale nelle prime “pope” (“soavissima tirannia”, la chiamarono) fu per i primi anni inconsapevole della sua leadership carismatica, fino al 1949 grazie all'incontro con Igino Giordani.

Furono gli ambienti dell'Azione Cattolica e del clero diocesano a esercitare le maggiori resistenza (destavano perplessità i voti, la dottrina, la comunioni dei beni), ma de Ferrari intuendo “il dito di Dio” in quell'opera avviò il processo di istituzionalizzazione, come conferma il fatto che volle tenere separato nel suo archivio il carteggio con la fondatrice. Nello stesso tempo dagli scambi epistolari (si firmava “Sua figliola Chiara”) emerge l'attenzione della Lubich a non rompere l'unità con la Chiesa e con chi la rappresentava. L'importanza del discernimento personale di de Ferrari sono stati recuperati e tratteggiati nella sua evoluzione da don Severino Vareschi che ha sottolineato la libertà di spirito del vescovo “senza lasciarsi ingessare dagli schemi” e la capacità di lasciarci coinvolgere da quella rivoluzione dell'amore “senza farsi scottare” (come scrisse con arguzia). Con attenzione alle fonti, l'archivista Maurizio Gentilini ha presentato Chiara come anticipatrice di nuovi carismi e di nuove forme di consacrazione (poi rilanciate dal Concilio) in parte alternative alla vita religiosa, segnalando come a riconoscerle furono proprio figure di religiosi (come de Ferrari) più che del clero diocesano. Un rapporto – quello fra il vescovo e la leader carismatica – che il libro di Abignente non esaurisce certo, ma ci viene presentato nella sua documentata profondità.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina