Adan, una morte che interroga

Le norme locali limitano impropriamente l’accoglienza delle persone richiedenti asilo in generale e in particolare quella di situazioni vulnerabili

Bolzano – Domenica 8 ottobre 2017 Adan, ragazzino curdo iracheno di 13 anni, giunto a Bolzano da una settimana con la famiglia (padre, madre e altri tre fratellini) proveniente dalla Svezia, è morto in ospedale dove era stato ricoverato in seguito a una caduta dalla sedia a rotelle sulla quale era costretto dalla sua disabilità.

Lunedì 2 ottobre la famiglia era stata segnalata dalla Caritas (Ufficio consulenza profughi) ai servizi sociali come situazione “vulnerabile”, per la quale disporre immediate misure di protezione. Di fronte al rifiuto di dare un tetto alla famiglia (in quanto proveniente da altro Stato, secondo i limiti imposti dalla vigente circolare provinciale), la Caritas ha avvertito subito della situazione tutte le istituzioni responsabili del sistema di accoglienza delle persone richiedenti asilo.

Mentre l’iter faceva il suo corso, la famiglia è stata ospitata nei locali di una parrocchia, in quelli della chiesa evangelica, all’ospedale di Bolzano (per un primo ricovero), infine in un albergo a spese di privati cittadini.

La fatale caduta di Adan è avvenuta venerdì 6 ottobre, andando alla mensa della Caritas, dove la famiglia ha avuto la possibilità di cenare ogni sera.

La morte del ragazzino solleva vari interrogativi, tra questi l’adeguatezza delle norme locali che limitano impropriamente l’accoglienza delle persone richiedenti asilo in generale e in particolare quella di alcune situazioni vulnerabili.

Alla mancata accoglienza fanno attualmente opera di supplenza i privati, i volontari organizzati e (nel silenzio) le parrocchie di Bolzano.

La Caritas diocesana fin dal settembre 2016 ha denunciato la modifica, da parte della Provincia, dei criteri inerenti l’accoglienza dei profughi e ha più volte e in varie sedi chiesto il ritiro o la revisione della circolare che impone tali criteri.

Sulla vicenda è intervenuto anche il vescovo diocesano Ivo Muser. Intervistato da Martin Lercher per il quotidiano Dolomiten, ha detto: “Non basta stare fermi alle emozioni, andare in cerca di un colpevole e poi passare al prossimo punto dell’ordine del giorno. Il grido di dolore, la commozione e le emozioni sono autentici solo se la tragica morte di Adan non si riduce a un titolo di giornale che subito passa”. Aggiunge mons. Muser: “Questo evento mi dà la consapevolezza del fatto che anche io sono coinvolto. Non posso distogliere lo sguardo. Che cosa penso dei profughi? Come parlo di loro? Che cosa posso fare? Il peggio è l’indifferenza”. È necessario un cambiamento di prospettiva: “Molto dipende dalla consapevolezza che in questa sfida, di fronte alla quale stiamo e che ha risvolti sociali, politici, culturali e anche religiosi, non si tratta solo di noi. ‘Prima noi e poi gli altri’: di fronte a questo slogan provo un sentimento di forte disagio. È uno slogan che nutre i giudizi sommari, le ingiuste generalizzazioni, le soluzioni populistiche che alimentano l’invidia e contrappongono uomo a uomo”.

Sulla vicenda molti si interrogano, alcuni spargono veleno e la magistratura indaga.

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